TESI DI LAUREA
Per una storia della produzione della ceramica.
Il comprensorio di Civita Castellana.
LAUREANDO:
Stefano Paolini
MATRICOLA N° 1863
RELATORE: Prof.ssa Donatella Strangio
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA TUSCIA
Facoltà di Economia e CommercioCorso di laurea in Economia Aziendale
INDIRIZZO Generale
RELATORE: Prof.ssa Donatella Strangio
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA TUSCIA
Facoltà di Economia e CommercioCorso di laurea in Economia Aziendale
INDIRIZZO Generale
ANNO ACCADEMICO 2002 – 2003
CAPITOLO 1
LA STORIA E L’EVOLUZIONE DELLA CERAMICA.
Ceramica.
L’arte della ceramica, dal greco “keramikos” = argilla, e “keramiké téchné” = arte del vasaio, indica tutto ciò che viene realizzato in argilla (una roccia sedimentaria), modellato a freddo e sottoposto a cottura a una temperatura compresa almeno tra i 450 e 650 C°.
A tali temperature si producono, infatti, trasformazioni irreversibili nella struttura cristallina dell’argilla, tali che la materia prima non è più riciclabile per creare nuovi oggetti, a differenza del vetro e del metallo.
Questa caratteristica, assieme alle altre e cioè:
- che l’argilla è la roccia più diffusa sulla crosta terrestre,
- che la sua plasticità, ottenibile con la giusta aggiunta di acqua, la rende estremamente duttile a svariati tipi di lavorazione,
è alla base del fatto che la ceramica rappresenti il reperto più diffuso nella maggior parte dei contesti archeologici di età storica anche perché, pur ridotta in frammenti, è di fatto indistruttibile.
La ceramica riguarda la fabbricazione dei prodotti formati di terra, foggiati a mano o meccanicamente, e cotti.
La parola è derivata dal nome greco dell’argilla ed è passata nelle lingue moderne nel senso in cui i Latini adoperavano il termine “fictilis”, per indicare ogni oggetto fatto d’argilla.
La presenza molto diffusa di reperti ceramici consente di attuare su larga scala confronti tra contesti diversi e quindi permette di dedurre differenze di cronologia, di funzione, di status sociale, di cultura e di economia.
Il ciclo produttivo della ceramica prevede una sequenza d’azioni che vanno dalla estrazione e preparazione dell’argilla, alla modellazione di vasi o di altri oggetti e al loro essiccamento, cottura e raffreddamento.
La decorazione, la rifinitura o il rivestimento delle superfici sono tra gli elementi più mutevoli e possono essere eseguiti con tecniche diversificate.
Ciascuna tappa del processo produttivo può essere condotta con modalità differenti, dettate, oltre che dalla funzione dell’oggetto prodotto, anche da una lunga serie di fattori naturali –caratteristiche delle materie prime, del clima, del combustibile e dell’acqua- e umani –organizzazione sociale, natura del sistema economico, capacità tecniche, usi culturali, mezzi di trasporto disponibili, caratteristiche dell’habitat e densità della popolazione-.
Tra le funzioni degli oggetti in ceramica prevalgono quasi sempre quelle legate alla preparazione, alla conservazione, al trasporto e al consumo dei cibi.
In periodi storici determinati sono inoltre diffusi gli usi edilizi (mattoni, tegole,coppi), mentre la terracotta rimane un fenomeno significativo principalmente in alcuni periodi dell’antichità classica e nel tardo Medioevo-Rinascimento.
Le diversità di funzioni, di condizioni ambientali e di contesto storico hanno determinato nel corso del tempo un’enorme varietà di tipi ceramici.
Se si sintetizza la storia degli studi ceramici, può risultare utile uno schema, nel quale si indicano tre grandi fasi o approcci che si possono considerare in sequenza cronologica e che hanno avuto sviluppi paralleli, e sono tutti ancora oggi vitali.
Si tratta dell’approccio:
- Storico artistico.
- Tipologico.
- Contestuale.
Secondo il significato originario, conservato in molte lingue moderne, la ceramica comprende vasellame, statue e statuette, ed elementi da costruzione.
Tali oggetti risultano diversi a livello tecnico:
- Rispetto alla varia natura della terra e agli ingredienti aggiunti per formare l’impasto. Varietà che richiedono un appropriato grado di calore.
- Secondo l’eventuale loro rivestimento e secondo l’eventuale tipo di decorazione. La materia prima essenziale è l’impasto ottenuto dalla mescolanza, con adeguata quantità d’acqua, dell’argilla allo stato naturale, o corretta da altre sostanze, che deve offrire plasticità e coesione sufficienti.
Gli oggetti in ceramica si possono dividere in due grandi tipologie:
- Suppellettili d’uso domestico: vasi, stoviglie, piatti, recipienti, statue, statuette ecc.
- Materiale per l’edilizia: piastrelle, tegole, pezzi per condutture, rivestimenti ecc.
Della famiglia della ceramica fanno parte:
- La terracotta.
- La maiolica.
- La terraglia.
- La porcellana.
- Il grès.
Questi prodotti si differenziano per le caratteristiche del materiale, la porosità e la temperatura di cottura.
Si può distinguere:
- La ceramica a corpo poroso: terracotta, maiolica e terraglia che hanno una cottura a meno di 600 C°.
- La ceramica a corpo compatto: porcellana e grès, che hanno una cottura a più di 900 C°.
Il processo di lavorazione dell’argilla, materiale di base di tutta la produzione ceramica, è sempre stato l’elemento fondamentale per la realizzazione degli oggetti.
Segreti e sperimentazioni si sono tramandate di generazione in generazione, all’interno delle botteghe degli artigiani.
Per analizzare i diversi modi della distribuzione d’oggetti ceramici deve essere abbastanza accertata la loro area di produzione e per questo è necessario lo studio degli impasti e della valutazione complessiva di tutti gli altri aspetti tecnici e formali.
Oltre al semplice scambio d’oggetti, si possono dare casi diversi di trasferimenti di maestranze o anche d’artigiani itineranti, che vanno quindi distinti e riconosciuti.
Bisogna ricordare come la ceramica poteva essere scambiata o trasportata di per sè, per le sue qualità estetiche e/o funzionali, oppure come contenitore di derrate alimentari.
Il suo potenziale informativo può variare molto e riguardare settori dello scambio e della produzione molto diversi.
E’ necessario tener presente che gli scambi potevano avvenire a diversi livelli –locale, interregionale, internazionale, a breve e a lunga distanza- ed essere gestiti direttamente dai produttori, dai consumatori o da intermediari.
Esiste una relazione tra i modi di produzione –casalinga, artigianale, industriale- e l’ampiezza dei mercati potenziali, è bene non collegarli troppo meccanicamente per ricordare che non sono necessariamente soltanto le ceramiche dotate di qualità estetiche ad essere trasportate per distanze più o meno lunghe. Quando un determinato tipo di ceramica è stato trasportato lontano dal centro dove era prodotto, bisogna ricordare come esso possa costituire una vera e propria merce, commercializzata intenzionalmente, ma anche che possa far parte del corredo personale di un mercante o di un pellegrino, o costituire un dono o un souvenir.
Non va costituito, per ogni caso, un rapporto commerciale diretto tra il centro produttore di una certa ceramica e il centro nel quale essa è stata rinvenuta.
Il sistema economico e la situazione dei trasporti, -la manutenzione e sicurezza delle strade, la presenza di vie fluviali, la stazza delle navi ed i sistemi di navigazione-, influiscono in maniera decisiva sul trasporto di merci pesanti, fragili e, con l’eccezione dei contenitori di derrate, mediamente di scarso valore.
Le informazioni più interessanti, dal punto di vista dei consumatori, si hanno per quei periodi nei quali ai diversi gradi della scala sociale si fa un uso abbastanza ampio delle ceramiche e l’offerta di prodotti è più articolata.
Attraverso la valutazione delle percentuali delle diverse classi ceramiche attestate in parti differenti, si possono notare differenze di status sociale, ad esempio se in una zona prevalgono ceramiche di lusso e/o d’importazione, o differenti usi funzionali: se in una zona prevalgono i contenitori anforari, si può pensare a zone di deposito di derrate.
Si possono registrare differenziazioni sincroniche e diacroniche tra siti di diversa natura, di tipo cittadino, contadino, militare, monastico ecc., se le ricerche vengono svolte su scala regionale.
Le funzioni dei diversi tipi ceramici si possono ricavare dalle loro caratteristiche tecniche e formali (impasti refrattari o meno al calore, boccali con beccucci adatti per bere ecc.), anche se usi molto specifici non sempre sono intuibili e una stessa forma poteva servire per più funzioni, o una stessa funzione poteva essere assolta da più forme; inoltre alcuni vasi erano riciclati per funzioni totalmente diverse da quelle per le quali erano inizialmente creati.
Impasto.
Il primo prodotto crudo, già relativamente rassodato e detto “verde”, poi appositamente essiccato, deve essere sottoposto all’azione del fuoco che contrae l’impasto terroso (la pasta), messo in opera, lo indurisce, lo fissa in forma permanente e, secondo la composizione chimica, lo trasforma più o meno intensamente e ne cambia anche il colore; -a differenza di quello che avviene nell’arte del vetro, non lo fonde (il che deformerebbe il prodotto)- e lo porta per talune varietà ceramiche ad un principio di vetrificazione.
A cottura terminata, gli impasti possono essere considerati:
- Secondo il diverso grado di compattezza.
- Secondo il colore acquisito.
Questi differenti risultati possono già servire per una prima classificazione delle paste ceramiche, perché ogni classe di prodotti ha proprie caratteristiche fondamentali.
Si hanno così ceramiche a pasta porosa o a pasta compatta, a pasta colorata o a pasta bianca.
La preparazione degli impasti avviene ogni giorno, ma al preparato occorre un tempo di sedimentazione di 24 ore e per tale motivo ogni giorno si utilizza l’impasto del giorno precedente.
L’impasto incanalato attraverso delle pompe arriva al reparto di colaggio.
Una classificazione definitiva deve tener conto di un altro elemento che, nella gran parte dei casi, è costitutivo di un dato tipo di ceramica, cioè del rivestimento.
Quando i procedimenti venivano fatti manualmente, il materiale grezzo veniva sottoposto ad una lunga fase di preparazione, -la stagionatura-, che poteva durare, come dice il nome stesso, anche un’intera stagione, per ottenere una buona riuscita dei prodotti.
Il materiale grezzo era lasciato a decantare in vasche e poi ripulito da tutte le impurità che potevano essere presenti.
Lo scopo era quello di conseguire una pasta con buone caratteristiche plastiche.
All’impasto potevano essere aggiunti minerali e additivi diversi che dipendevano dal risultato finale che si voleva raggiungere e spesso con formule tenute segrete.
Terracotta.
La più semplice espressione della ceramica si trova negli oggetti formati di solo impasto, vale a dire di terracotta, che è anche il nome dato alla prima grande classe di una divisione razionale della produzione, cioè a tutti i manufatti di una argilla, che cuoce porosa e colorata, e senza applicazione di rivestimento (dal mattone al comune vaso da giardino, dalla statuetta alla terracotta ornamentale).
Ha un caratteristico colore rossiccio ed è ricavata dalla cottura d’argille contenenti notevoli percentuali di ferro.
La necessità dell’uso, e il sentimento estetico, hanno suggerito, fin dai tempi remotissimi, l’adozione di un processo correttivo della porosità e del colore della pasta mediante l’applicazione di un involucro, più o meno spesso (trasparente od opaco), in grado di togliere la permeabilità alle paste tenere e che, allo stesso tempo, sia in grado di dare levigatezza a quelle dure.
E’ realizzata con argilla comune, ricca d’impurità ferrose.
Le antiche civiltà, Assiro-Babilonesi ed Egiziana, la essiccavano anche al sole.
La terracotta viene cotta in forno ed acquista una colorazione più o meno uniforme, rossa-rossastra, che dipende dai minerali presenti.
E’ facilmente rivestibile con materiale vetroso il quale le conferisce lucentezza e una superficie liscia e non porosa.
Può essere colorata e decorata in diversi modi.
Durante la preistoria la terracotta era usata per realizzare statuette e ornamenti, ed ebbe sicuramente una grande espansione nel mondo greco.
E’ presente in epoca medievale e rinascimentale, ed ancora oggi è uno dei materiali più utilizzati.
Il rivestimento.
Se si esclude il rivestimento alcalino impiegato dai ceramisti dell’antichità e l’ingobbio terroso, (formato da un vello bianco di terra, detta di Siena o di Vicenza, da applicarsi sul verde, e richiedente un secondo involucro impermeabile, chiamato bianchetto ed usato soprattutto per le ceramiche da ornare con graffiti), gli altri rivestimenti si possono ridurre a due tipi:
- Le vernici (sono trasparenti e quelle a base di piombo, la “vernice piombifera”, detta anche vetrina o cristallina, è propria delle paste tenere perché fonde a temperatura relativamente bassa; quelle “boraciche e feldspatiche” si dicono coperte e sono più proprie delle porcellane, perché fondenti ad una temperatura più alta). La vernice “strannifera” è a base di minerali ossidi di stagno.
- Gli smalti: più noto e comunemente usato è quello bianco, brillante, opacizzato dall’ossido di stagno, che forma il classico rivestimento della maiolica.
Entrambe queste specie si possono tingere con colori vetrificabili, dovuti ad ossidi metallici, che uniti ai necessari fondenti, secondo la temperatura e l’atmosfera del forno, ossidante o riducente, si comportano in modo diverso dando un diverso effetto.
La pittura.
La pittura o l’ornato a colore è, nella maggior parte dei casi, dato da colori vetrificabili.
Secondo la temperatura che devono subire, i colori si dicono:
- A piccolo fuoco o a fuoco di muffola (da applicarsi solo sui rivestimenti: circa 600°). Nei forni ceramici “muffolati” i bruciatori sono collocati sotto il piano del forno, verso l’esterno. In questo modo si evita il contatto diretto con il fuoco grazie ad una camera in mattoni refrattari chiamata “muffola”.
- A gran fuoco (da applicarsi sotto e dentro i rivestimenti da 900° a 970° e oltre).
Il nome dei rivestimenti è tuttora incerto, non solo fra lingua e lingua, ma anche in italiano.
Quelli di tipo vetroso sono detti comunemente:
- In francese “glacure”.
- In spagnolo “vidriado”.
- In tedesco “glasur”.
- In inglese “glaze”.
Questi termini mal trovano riscontro nella voce invetriatura, che dovrebbe limitarsi ad indicare i rivestimenti a smalti colorati.
Il rivestimento terroso, che richiede un successivo involucro metallico per dare impermeabilità all’oggetto, è detto da noi ingobbio –composto liquido d’argille di solito di colore bianco, con cui si rivestono tramite immersione oggetti di terra rossa-, bianchetto o mezzamaiolica –voce questa che denota una fase intermedia fra le due tecniche, con l’aggiunta di una piccola quantità d’ossido di stagno per rendere più ricco l’ingobbio-.
Se alla terracotta comune, detta biscotto, si applica un rivestimento, si produce la seconda grande classe delle ceramiche, quelle delle “Faenze”, la cui varietà più nota è la maiolica.
E’ un prodotto di ceramica a pasta tenera, rivestito da una vernice o smalto opaco, solitamente di colore bianco.
Viene anche detta con un termine francese “faience”, che deriva dalla città di Faenza –uno dei principali centri di produzione in epoca medievale e rinascimentale-.
La maiolica è conosciuta e prodotta in tutto il bacino del Mediterraneo, le sue colorazioni sono varie e spesso molto sfarzose e brillanti.
Le altre sue suddivisioni corrispondono ai vari tipi di rivestimento: terroso o metallico, opaco o trasparente.
Il termine “Faenza” può essere utilizzato anche come sinonimo di maiolica.
Argille speciali.
L’impiego d’argille appropriate e di speciali ingredienti ci dà la produzione delle altre grandi classi ceramiche:
- Il grès, che ha una pasta compatta, generalmente colorata (anche bianca e l’opacità lo differenzia dalla porcellana, che è translucida), cuoce ad alta temperatura e può essere o non essere rivestito. Vengono aggiunti materiali particolari che gli conferiscono, dopo la cottura, uno spiccato aspetto di vetrificazione e una grande resistenza all’usura e agli urti. La vetrificazione è ottenuta tramite una cottura a temperature molto elevate di circa 1220-1440 C°. Grazie alle sue caratteristiche è indicato per la produzione di pavimentazioni.
- La terraglia è di varia compattezza e richiede o una vernice piombifera o una coperta che dipendono dalla temperatura alla quale viene portata. E’ costituita da una pasta porosa solitamente di colore chiaro. Viene rivestita da una vernice trasparente a base vetrosa, che ne consente l’impermeabilizzazione e l’uso per scopi alimentari. E’ un prodotto meno pregiato rispetto agli altri tipi di ceramica.
- La porcellana che cuoce ad alta temperatura è compatta e richiede una coperta. Le caratteristiche dei prodotti in porcellana derivano direttamente dal materiale, il caolino (2/4), il feldspato (1/4) e il quarzo (1/4), che consentono di ottenere un composto a pasta dura, dalle alte prestazioni in quanto a resistenza, trasparenza, bianchezza. La composizione del materiale consente la cottura oltre i 1400 C° e dà ai prodotti resistenza e lucentezza. Quando si produce senza rivestimento, specialmente in piccoli oggetti d’arte, e si imita la grana del marmo, si chiama alla francese “biscuit” (biscotto di porcellana).
Classificazione.
Nella totalità dei casi per fissare il rivestimento e l’ornato occorrono una o più cotture successive a quella per la formazione del biscotto, e allora il prodotto si dice finito.
Sono due i processi essenziali che concorrono alla produzione della ceramica:
- La manipolazione delle materie.
- La cottura: durante quest’ultima fase avvengono quei cambiamenti di stato fisico e quelle continue e progressive reazioni chimiche, che fissano il tipo ceramico che si vuol produrre. Nella storia della ceramica la fase della cottura è stata legata alle capacità di costruire forni capienti ed in grado di raggiungere alte temperature. E’ un momento importantissimo del processo di lavorazione: la cattiva cottura può rendere vano il lavoro di mesi, con conseguenti gravi danni economici. La temperatura di cottura dipende dal materiale argilloso, che si ha a disposizione, e dal prodotto che s’intende ottenere. Alcune tipologie di prodotti possono avere più cotture per fissare decorazioni e invetriature.
I tentativi di classificazione dei prodotti ceramici sono stati molto laboriosi, la terminologia è ancora incerta e le singole nomenclature sono dibattute senza esatta corrispondenza fra le varie lingue.
Modellazione.
Esistono vari tipi di modellazione:
- Con piccoli cilindretti.
- Per forma.
- Al tornio.
La fase della modellazione è fatta a freddo, bagnando il materiale, se poco plastico.
La scelta delle forme dipende:
- Dai periodi storici.
- Dal grado d’evoluzione sociale.
- Dalle influenze che hanno interessato una specifica area geografica.
La ricerca di nuove forme è sempre stata anche motivo di sperimentazioni, di studi e di spionaggio industriale.
Essiccazione.
Per le caratteristiche di plasticità dell’argilla e per la sua capacità di assorbire acqua, gli oggetti possono avere un elevato contenuto acquoso.
E’ importante, per la stabilità del materiale, che il contenuto sia eliminato in modo naturale, lento e privo di traumi per gli oggetti; di conseguenza, prima della cottura, è fondamentale la fase di essiccazione, nella quale gli oggetti assumono stabilità nella forma.
Impermeabilizzazione.
La porosità dell’argilla è inaccetabile nel caso d’uso domestico degli oggetti e per la conservazione di cibi.
La stesura di uno strato di rivestimento, trasparente (vernice), opaco (smalto), o biancastro (ingobbio), dati a pennello, a spruzzo o per immersione, consente ai pezzi sottoposti a cottura di eliminare la porosità del materiale, realizzando superfici lisce e impermeabili.
Questa fase può essere ripetuta anche dopo la cottura secondo le tecniche di lavorazione e il tipo di prodotti che si vuole ottenere.
Decorazione.
La fase di decorazione è molto varia e dipende:
- Dall’epoca storica.
- Dalle aree geografiche.
- Dal tipo di materiale che s’intende ottenere.
- Dalla tradizione artistica.
- Dai colori che è possibile ottenere.
- Dalle varie sperimentazioni
Si possono fare decorazioni in rilievo, dipinte a mano, a stampino o tramite l’applicazione d’immagini (procedura iniziata alla fine dell’800).
I colori storici della ceramica, oltre al bianco ed al rosso-rosato della terra, sono verde, blu e senape.
La decorazione può essere realizzata prima o dopo la cottura, contemporaneamente all’impermeabilizzazione.
CAPITOLO 2
STORIA DELLA PRODUZIONE CERAMICA CIVITONICA.
Introduzione.
Civita Castellana è un comune situato in provincia di Viterbo, dal quale dista circa 30 chilometri, posto a 145 metri sul livello del mare, con 15220 abitanti secondo l’ultimo censimento del 2001.
Si estende in un territorio ampio situato tra il monte Soratte, il Tevere e i monti Cimini.
Il territorio Falisco, prevalentemente in falso piano, è d’origine vulcanica, per effetto dei periodi eruttivi del vulcano Vicano, situato in prossimità dei monti Cimini ed attivo fino a 95 mila anni fa; il magma raffreddato ha caratterizzato l’ambiente circostante.
Banchi di colate eruttive solidificate hanno donato al terreno il caratteristico aspetto rossastro, definito comunemente “tufo rosso”.
Topograficamente il territorio dell’antica popolazione dei Falisci è come un ferro di cavallo: al centro del territorio c’è la capitale Falerii Veteres ed intorno le altre città componenti la “Nazione Falisca”: Orte, Sutri, Nepi, Narce, Corchiano ecc.
La motivazione fondamentale, che ha fatto di Civita Castellana un centro di produzione ceramica, conduce necessariamente all’analisi della natura geologica del territorio costituito principalmente da formazioni terziarie, del miocenico e del pliocenico.
Sopra queste formazioni sono sovrapposti tufi, pozzolane, grandi masse d’argille, alcune delle quali ricche di calcio e ferro molto comuni, mentre altre possono essere annoverate tra i silicati d’alluminio puro in grado di servire l’industria ceramica più fine.
La localizzazione di queste materie prime sul territorio ha determinato lo sviluppo della produzione ceramica le cui radici sono molto lontane nel tempo, e da esse si è sviluppato l’odierno apparato industriale.
Per quanto riguarda la ceramica ed il suo utilizzo per la storia economica e sociale, è importante ricostruire e valutare:
- La provenienza.
- La distribuzione.
- Il volume di produzione.
- I livelli di standardizzazione di tutti gli aspetti tecnici (qualità delle argille, tipo di cottura, modi di rifinire le superfici, ecc.) e formali.
- La varietà di tipi e di classi prodotte.
Tutti questi elementi sono indispensabili per ricostruire il contesto della produzione.
Non bisogna concentrare l’analisi soltanto sulla ceramica fine o d’importazione rispetto ai prodotti locali, poiché questo corrisponde spesso, in termini economici, a sopravvalutare il commercio a lunga distanza rispetto all’analisi dei mercati locali, ugualmente se non più rilevanti dei primi.
E’ necessaria una grande accortezza nell’utilizzo della ceramica come indicatore di status sociale.
Ad esempio, non sempre la presenza di ceramica d’importazione è indice di uno status sociale elevato, fondamentale è la maggiore o minore difficoltà d’approvvigionamento (ad esempio le zone della costa, rispetto a quelle dell’interno), ma anche il tipo di funzioni svolte dai contenitori.
Essendo la ceramica legata alla conservazione, cottura e consumo degli alimenti, può essere l’ineguale accesso a questi ultimi ad essere legato al diverso status sociale.
In determinati periodi storici può, ad esempio, essere maggiormente significativa la varietà funzionale rappresentata nell’ambito dei servizi da mensa.
E‘ stato notato, ad esempio, come la sigillata africana sarebbe un indicatore di uno status più elevato, perché avrebbe al suo interno grandi piatti per la carne ed il pesce, meno attestati nelle ceramiche di imitazione, che denotano un maggiore benessere legato alla qualità dei cibi che erano consumati.
Può essere maggiormente indicativa la concentrazione di ceramiche per la conservazione degli alimenti rispetto a quella delle ceramiche fini: ad esempio, il vero indicatore di status degli abitanti dei castelli era l’alta concentrazione delle anfore da vino e da olio, piuttosto che la sola ceramica di importazione.
Dagli albori al IV secolo A.C.
La strategica posizione d’alture difficilmente espugnabili da eventuali nemici, unita alla facilità di lavorazione dei banchi tufacei, favorì la crescita d’insediamenti abitativi sin dall’età del bronzo (XI secolo A.C.).
Le città dell’Ager Faliscus furono costruite in posizione comoda e strategica arroccate sopra alte rupi per potersi difendere da eventuali invasori. Politicamente ogni città era organizzata come singola entità, ma tutte avevano uguali leggi, comuni rappresentanti ed un solo Capo del Governo.
Tito Livio, nella sua” “Storia di Roma dalla sua fondazione”, afferma che periodicamente tutti i rappresentanti si riunivano nella capitale per decretare ordinamenti, leggi ed ogni altra importante decisione riguardante la Nazione.
I confini naturali del territorio Falisco sono:
- Ad Ovest i monti Cimini, declinanti verso Nord nella “Selva Cimina”, il bosco fitto ed impenetrabile (Faggeta) utilizzato per l’approvvigionamento di legname.
- A Nord-Est il Tevere, sfruttando la navigabilità del quale, fu trasportato a Roma legname ad alto fusto utilizzato sia per la costruzione di navi delle legioni Romane, impegnate per esempio nelle guerre Puniche, sia per le sempre crescenti necessità edilizie di Roma.
- A Sud il monte Soratte ed il territorio Capenate.
- A Sud-Ovest, sul versante del lago di Bracciano i monti Sabatini.
- Il fiume Treja, affluente del Tevere, che nel suo percorso da sud a nord bagna le due città principali dell’Ager Faliscus, Narce e Falerii Veteres.
Le prime manifestazioni dell’arte ceramica di Falerii Veteres, l’odierna Civita Castellana, risalgono al X secolo A.C. senza tuttavia soluzioni di continuità.
Gli scavi archeologici compiuti presso le necropoli di Faleri, Celle, Monterano, Scasato, Penna, Valsiarosa, Colonnette, Cappuccini, hanno portato alla luce materiale vascolare estremamente vasto, tale da documentare una forte presenza dell’arte ceramica nel territorio e la sua trasformazione nel tempo.
Dai vasi cosiddetti “ad impasto”, di rozza e grossolana manipolazione, si passa lentamente ad una trasformazione della tecnica che ha permesso la realizzazione di manufatti d’imitazione dell’arte orientale con vasi italo-geometrici.
In questo periodo comparvero i buccheri, particolarissimi manufatti in argilla di colore nero ebano.
Era un tipo di ceramica prodotta dagli Etruschi ottenuta usando un’argilla ricca di ossido di ferro.
Dal VIII secolo A.C. la produzione consisteva in piccole anfore e tazze ad impasto di terra nera o rossastra.
Accanto alla produzione di vasellame ceramico semplice e d’uso quotidiano, si diffonde lentamente la lavorazione di ceramica più raffinata, destinata all’utilizzo nelle riunioni conviviali delle ricche famiglie falische.
I più attrezzati laboratori del VII secolo A.C. iniziano a produrre ceramiche d’impasto rosso o nero con ottime decorazioni artistiche; in tale periodo il vasellame falisco destinato all’uso sia quotidiano che funerario, anche se ispirato dalla tecnica decorativa greca, si distingue nel contesto di produzione ceramica italica per autonomia stilistica e decorativa. Pesci, volatili, figure geometriche e vegetali stilizzati, realizzati con tecnica ad incisione e pittura, sono i motivi più frequenti.
Nel Museo dell’Agro Falisco a Civita Castellana sono conservati alcuni pezzi che dimostrano il mancato utilizzo del tornio da vasaio.
Verso la metà del VII secolo A.C., i vasi italo-geometrici furono sostituiti dai protocorinzi, che invasero tutti i mercati e costituirono il punto di congiunzione con quelli corinzi.
Falerii Veteres divenne famosa per le sue ceramiche in tutta l’Etruria.
I figuli falisci erano abili vasai e riuscirono ad imitare magnificamente la ceramica greca, più precisamente la ceramica attica dello stile “fiorito”.
(Materiale di questo tipo, ceramica e coroplastica, è stato rinvenuto a Civita Castellana nelle necropoli e nei Templi di Falerii Veteres, ed è conservato nel museo di Villa Giulia a Roma).
Il patrimonio iconografico tipico di questo periodo viene rielaborato dagli artigiani con una forte caratterizzazione locale, sia nella realizzazione delle figure sui vasi che nella tecnica di realizzazione delle stesse: diffusi sono i vasi di impasto rosso, di diversa tipologia, decorati con la tecnica “dell’excisione”, cioè incidendo l’impasto di argilla non ancora cotta, lasciando in rilievo i particolari che si desiderava far risaltare.
Ricchi i corredi delle tombe, in parte esposti nel Museo Nazionale dell’Agro Falisco a Civita Castellana, che testimoniano lo stato di sviluppo raggiunto da alcuni centri Falisci nel VII secolo A.C.
Nel VI secolo A.C. Falerii, capitale dei Falisci, raggiunge il massimo splendore: in questo periodo si assiste ad una forte Ellenizzazione della cultura Falisca con il conseguente riadattamento dei temi iconografici provenienti dal mondo ellenico.
La cultura falisca ha il suo apice nel V e nel IV secolo A.C., cioè quando la città ha raggiunto uno stabile assetto urbanistico: testimonianza dell’abilità degli artisti cloroplasti, artigiani impegnati nella produzione di piccoli oggetti o grandi statue in terracotta, sono le decorazioni architettoniche rinvenute nei grandi templi di Falerii, sia quelli inclusi nel perimetro urbano, Tempio Maggiore e Minore, che extraurbano: Tempio di Giunone, Tempio di Mercurio e il Tempio dello Scasato.
Le numerose terrecotte architettoniche rinvenute negli scavi dimostrano l’esistenza di una scuola locale attiva almeno dalla fine del VI secolo A.C. sino agli inizi del III secolo A.C.: gli artisti-artigiani che vi operavano hanno appreso ed elaborato influssi artistici greci propri, di nomi quali quelli di Fidia, periodo classico, e di Lisippo, Prassitele e Skopas, periodo ellenistico.
Anche la produzione di ceramica, soprattutto quella d’età ellenistica del IV e III secolo A.C., mostra numerosi punti di contatto con l’analoga produzione greca, in particolare attica, con una forte caratterizzazione locale.
Le forme in ceramiche maggiormente prodotte sono il cratere a calice ed a campana.
Tra i temi rappresentati più frequentemente sui vasi vi sono quelli dionisiaci, legati al dio Dioniso, il Bacco dei Latini.
Nel VI secolo A.C. si manifestò una nuova corrente commerciale che inflisse un duro colpo alla produzione locale: è la ceramica Attica, che arrivò fino al V secolo A.C., dominando tutte le regioni mediterranee.
Nella seconda metà del VI secolo A.C. la produzione della ceramica è ormai il prodotto di vere e proprie fabbriche, che realizzano sia vasi artigianali che prodotti in serie con matrici industriali, destinati prevalentemente all’esportazione.
Volterra, Todi, Norcia, Spello e Tarquinia sono i mercati principali, che per effetto di richieste sempre maggiori di ceramica Falisca, determinano un sensibile incremento demografico nell’area di Falerii Veteres e la crescita dell’importanza politica ed economica della cittadina.
Accanto alla produzione di vasellame, il VI secolo A.C. rappresenta il secolo dello sviluppo della produzione di terrecotte architettoniche, destinate all’uso decorativo dei tempi Falisci.
Dal V secolo A.C. al VI secolo.
La crisi economica del V secolo A.C. che colpisce l’Italia centrale è la conseguenza della fine del dominio marittimo Etrusco, sconfitto nelle acque di Capo Licola presso Cuma (474 A.C.), ad opera della flotta Siracusana.
Dopo la seconda metà del V secolo A.C. l’economia falisca risente positivamente dei più frequenti scambi commerciali, scambi che rappresentano il preludio al potere falisco del IV secolo A.C., periodo florido che determina una incredibile vivacità nelle esportazioni di prodotti locali e un consolidamento degli scambi commerciali con l’area Greca.
Dalla metà del IV secolo A.C. la produzione ceramica raggiunge livelli artistici assai elevati come ci attesta il celebre cratere a volute del Pittore dell’Aurora (375 A.C.). Tipiche di questa fase sono le numerose “kilykes” con soggetti dionisiaci rinvenute soprattutto nel mondo etrusco.
Alcune tombe del V e IV secolo A.C. rinvenute a Falerii Veteres hanno tra gli oggetti del corredo funebre anfore e crateri d’importazione Attica e Corinzia.
Ci si riferisce con questa denominazione alla ceramica prodotta a Corinto a partire dalla fine del VII secolo A.C.. La produzione corinzia è caratterizzata da argilla chiara, fine e liscia, decorata con figure nere a linea di contorno chiara, realizzata con particolari interni incisi e particolari sopradipinture in rosso e bianco. La decorazione tipica è costituita da fregi con fantasie di animali e motivi lineari. Meno frequenti sono le scene di narrativa. La qualità è medio – bassa.
Nel corso del secolo fu perfezionato il metodo di lavorazione della ceramica: dalla filiera di produzione, alle terre per gli impasti argillosi ai metodi di cottura nelle fornaci fino al decoro finale che portò i manufatti falisci ad un eccezionale livello qualitativo ed estetico, degno della miglior arte greca ed etrusca.
I vasi a figure rosse su fondo nero del IV secolo A.C. rappresentano l’espressione più elevata dell’arte ceramica falisca.
Vasi come quelli del pittore del Diespater e del pittore di Nazzano, oltre al cratere dell’Aurora, dimostrano l’abilità costruttiva e decorativa dei vasai falisci.
Tali opere d’arte, commissionate ai migliori artisti-decoratori, testimoniano la ricchezza economica raggiunta da alcune famiglie del posto che, utilizzando questi capolavori come corredo funebre in tombe sempre più monumentali, esaltano la loro ricchezza ed il prestigio sociale acquisito.
Dalla seconda metà del IV secolo A.C. dalle botteghe falische esce una produzione meno originale, e molto più standardizzata, adatta alla larga diffusione.
La vicinanza con gli Etruschi fu spesso causa di scelte politiche comuni tra i due popoli: abbiamo notizia d’alleanze strette per contrastare Roma che, dal V secolo A.C., diventava sempre più minacciosa nell’avanzata per la conquista dei territori dell’Italia centrale.
Dopo la presa dell’etrusca Fidene da parte dei Romani, questi si rivolgono verso Veio, -cittadina etrusca sul Tevere-, ingaggiando una lunga guerra che finirà con la sua conquista nel 396 A.C..
Gli Etruschi avranno come alleati proprio i Falisci ed insieme a loro riporteranno diverse vittorie seguite da razzie e incursioni romane nel territorio Falisco come ritorsione.
Veio viene conquistata nel 396 A.C.; e l’anno successivo è la volta di Capena. Anche Sutri e Nepi, nonostante una strenua difesa, cadono nelle mani di Roma.
Lo scontro diretto è ora tra quest’ultima e Falerii.
Nel 394 A.C. è stipulato un trattato di pace e nel 358 A.C. i Tarquiniesi e i Falisci insorgono contro una Roma sempre più prepotente e minacciosa.
Nel 351 A.C. si assiste ad una clamorosa sconfitta che ha, come epilogo, una tregua quarantennale ed un trattato d’alleanza (343 A.C.), che sembra reggere a lungo, tanto che nel 298 A.C. la città ospita una guarnigione romana.
Le vessazioni romane, soprattutto fiscali e amministrative, inducono i Falisci a nuove ribellioni che hanno come epilogo la distruzione di Falerii del 241 A.C. da parte dei consoli Lutazio Cercone e Manlio Torquato Attico, che con una guerra lampo, durata solo sei giorni, distrussero la città; 15.000 abitanti sono uccisi e sono loro sequestrati schiavi, armi, cavalli e masserizie.
La città è rasa al suolo e gli abitanti, privati dei loro averi e di buona parte del territorio, vengono costretti a trasferirsi in una nuova sede, Falerii Novi, in un luogo pianeggiante, di facile accesso, ad alcuni chilometri a Nord-Ovest, attraversato dalla Via Amerina, secondo un programma mirato all’occupazione ed al controllo del territorio.
A garantire la difesa è innalzata una poderosa cinta muraria, con uno sviluppo di oltre due chilometri, che risulta in alcuni tratti ancora ben conservata.
Nelle mura, costruite con grandi blocchi di tufo e rinforzate con cinquanta bastioni rettangolari, si aprono nove porte di varia ampiezza, tra le quali si distingue per la maestosa monumentalità quella cosiddetta di “Giove”.
La fine dell’arte falisca può essere assegnata intorno al 241 A.C.; comunque è presumibile che gli abitanti abbiano ripreso a fabbricare vasellame.
Le tracce storiche della ceramica falisca da quell’epoca e per molti secoli furono alquanto evasive ed incerte, dovute probabilmente alle nuove richieste della committenza romana.
Le sorti del popolo Falisco seguono quelle dell’Etrusco e degli altri popoli dell’Italia antica: le singole culture sono gradualmente “assorbite” in quella romana in un processo di lenta, progressiva ed irreversibile uniformità di fronte all’espansione militare, politica e culturale di Roma.
Il commercio attico nell’Etruria e nella regione falisca durò circa due secoli, soppiantando con i suoi prodotti le officine locali, ma non riuscì a distruggerle perché, verso la prima metà del IV secolo A.C. e all’inizio del III secolo A.C., si ripete ciò che era accaduto con l’arte orientale: fiorì un’arte di imitazione locale, con caratteristiche che si dimostreranno proprie sia nelle tecniche di decorazione sia in alcune forme di vasellame.
La produzione cosiddetta “Falisca”, anche se rimase inferiore alla greca per la qualità delle materie prime, le somigliava per le decorazioni e per il procedimento tecnico di realizzazione.
I vasi Falisci imitavano prevalentemente quelli attici di stile fiorito e se ne differenziavano, oltre che per il colore dell’impasto, anche per la diversa purezza della composizione.
I soggetti delle decorazioni erano tratti da miti greci, ma con variazioni locali. Preferite erano le scene dionisiache.
Verso la metà del III secolo D.C Falerii Novi dovette subire una contrazione demografica conseguente ad un impoverimento economico e sociale; per porvi rimedio l’imperatore Gallieno concesse particolari provvidenze che lo fecero apparire come secondo fondatore della città e lo rese meritevole di fregiarsi del titolo di “Renditegrator coloniae Faliscorum” e del “Signum Falerius”.
La caduta dell’Impero Romano, nel 476 D.C., e le conseguenti, successive invasioni barbariche ad opera dei Goti guidati da Teodorico nei primi del 500, instaurarono nell’Ager Faliscus un clima di terrore che si protrasse per vari decenni durante i quali anche l’attività ceramica fu abbandonata con la conseguente perdita delle tecniche di lavorazione fino ad allora conosciute.
A causa delle carestie la popolazione fu drasticamente ridotta e alcune città furono distrutte.
Il problema delle dimensioni dei gruppi sociali è di primaria importanza perché è considerata centrale la crescita demografica per spiegare la rinascita delle città, della divisione del lavoro e degli scambi.
Livelli demografici bassi, elevata frammentazione politica, istituzioni pubbliche per lo più deboli, aristocrazie molto impoverite sembrerebbero tutti fattori contrari ad un’economia sviluppata, come del resto sembrerebbero dimostrare le città dei secoli VI e VII.
Dopo una breve parentesi di relativa tranquillità, intorno al 570 ebbe inizio l’invasione da parte dei Longobardi, che portarono all’abbandono, prima graduale, poi totale, della città di Falerii Novi situata in una pianura poco difendibile dalle scorrerie barbariche.
La popolazione si trasferì nell’antica Falerii Veteres, dove esistevano delle difese naturali.
L’autorità centrale di Roma diede l’avvio alla costruzione di un baluardo difensivo alle porte di Roma.
Dalla fine del V secolo e alla prima metà del VI sec. c’è una separazione fra le situazioni dei centri urbani e quelle riscontrate nelle zone rurali più rivolte verso l’agricoltura, che riflettono il crollo del sistema statale romano ed il suo corrispettivo economico (il sistema di mercato).
Dal VI secolo al XI secolo.
Dal VI secolo al tardo VII / IX secolo si assiste ad un cambiamento della realtà economica e sociale, l’assenza delle ceramiche dimostra un livello di cultura materiale più bassa, e si assiste ad un più frequente utilizzo di contenitori di legno con una riutilizzazione delle ceramiche etrusche e romane.
A Roma e nelle aree portuali le importazioni d’anfore e di ceramiche fini dell’Africa e dell’area Orientale arrivarono, anche se in quantità ridottissima, fino alla seconda metà del VII secolo.
Queste importazioni, la cui distribuzione è limitata ai centri urbani, in Italia centro meridionale, Roma, Napoli, Otranto e Reggio Calabria ed ai territori che rimasero sotto il controllo bizantino, cioè Calabria e Sicilia, potrebbero indicare forme d’approvvigionamento inviate dal potere bizantino allo scopo di assicurare il rifornimento di posizioni strategiche.
Questa tendenza, che comincia dal IV secolo, sembra divenire sempre più marcata dal VI al VII secolo, con il crollo di un diffuso sistema di mercato. Nella seconda metà del VII secolo le invasioni arabe, e la conseguente perdita delle principali aree d’esportazione bizantine, spezzarono le direttrici fondamentali del commercio mediterraneo ed arrecarono il colpo di grazia ad un sistema già in declino. L’importazione d’anfore e delle ceramiche fini che le accompagnavano, cessano, indicando, soprattutto per ciò che riguarda Roma, l’avvenuta crisi delle reti di distribuzione, che avevano per secoli rifornito la popolazione urbana dei prodotti alimentari primari, ed ebbe sicuramente effetti drammatici nell’economia della città che, contemporaneamente, subiva una contrazione demografica importante.
In ogni caso a Roma l’approvvigionamento alimentare continuò, così come continuò la produzione ceramica specialistica nonostante il notevole cambiamento del volume.
L’esposizione e la vulnerabilità agli attacchi, le devastazioni provocate dalla guerra greco-gotica e, in seguito, le rovinose incursioni dei Longobardi, accelerarono ulteriormente l’abbandono della città romana, favorendo il ripopolamento dell’antico sito che era in posizione arroccata, quasi inespugnabile.
Il caposaldo assunse in breve tempo un rilevante ruolo strategico-militare, posto com’era a protezione del corridoio compreso tra la Tuscia Langobardorum e il ducato di Spoleto, nel punto in cui questo si riduceva ad un’ampiezza di appena venti chilometri; e nello stesso tempo divenne un avamposto difensivo della città di Roma, proprio al confine della domusculta Capracorum.
I vescovi vi trasferirono ben presto la loro sede, sebbene continuassero a mantenere il titolo di Faleritani.
Il primo riferimento al castello medievale si ricava da un atto del Liber Censuum, datato 727, con il quale Papa Gregorio II: “Locavit monasterio sancti Silvestri in Monte Soracte fundum Cancianum ex corpore Massae Castellanae patrimonii Tusciae”.
La citazione di Massa evidenzia l’esistenza di una proprietà fondiaria piuttosto estesa con una sviluppata economia agricola.
Nella seconda metà dell’VIII secolo grazie ai Pontefici Zaccaria (741-752) e Adriano I (772-795), si diede inizio alle domuscultae, legate ad un programma di Cristianizzazione e sfruttamento del territorio. Furono costruite opere di difesa e s’iniziò a produrre vasi per fornire vettovagliamento alla città di Roma.
Le domuscultae erano strutture produttive che si configuravano come enormi unità fondiarie intorno alla cinta urbana, aventi nello stesso tempo una funzione di protezione militare nei riguardi dell’Urbe, che era assicurata dalle milizie che vi risiedevano.
La domusculta, che si rivela erede e continuatrice della villa romana, permise al Papa Adriano I una grande attività assistenziale e fu un elemento frenante per la crescita del potente ceto nobiliare, al quale tolse gradualmente la gestione delle terre. Il processo di riforme politiche, economiche e militari avviate con le domuscultae fallì presto. Dopo la morte di Leone III, nell’816, alcune domuscultae furono attaccate e bruciate dai nobili. Iniziano ad emergere le famiglie nobiliari e la proprietà ecclesiastica fu divisa tra Chiesa e nobili.
Questo processo portò alla concentrazione della popolazione, e all’intensificarsi dell’agricoltura, condusse alla realizzazione di un surplus e alla nascita di un commercio di prodotti artigianali. Il territorio fu messo in sicurezza e diventò il corridoio che univa Roma all’Esarcato di Ravenna, punto strategico dell’impero Bizantino.
In questo contesto Civita Castellana rappresentava il polo più importante dell’Ager Faliscus poiché era al centro di tre importanti vie di comunicazione:
- La Via del fiume (Il Tevere).
- La Via Cassia-Amerina.
- La Via Collinense (La Flaminia).
Nel VII / VIII secolo la poca ceramica acroma, e la rarissima ceramica a vetrina pesante prodotta nel territorio romano-laziale, rimangono le uniche realtà ceramiche presenti, ispirate sia da forme di tradizione bizantina, sotto la cui influenza si trovava ancora Roma, sia da nuove forme ispirate dall’occupazione longobarda. Il tipo di ceramica prodotta con impasti più o meno depurati sono vasi di piccole e medie dimensioni, soprattutto brocche ed anforette. Le stesse forme ricorrono anche in vasi di dimensioni maggiori usati come anfore da trasporto.
Dalla fine dell’VIII secolo la produzione si arricchisce con un più largo uso delle tecniche di finitura come: lucidatura a stecca, schiarimento delle superfici, decorazione incisa a pettine (ancora rara nella seconda metà dell’VIII secolo) e sporadicamente anche con l’inserzione di pasta vitrea.
Nell’VIII secolo la ceramica acroma è il genere più comune e continua ad essere prodotta soprattutto in brocche ed anforette. E’ di questo periodo la fornace di ceramica acroma della mola di Monte Gelato a Mazzano Romano, ritrovamento fatto nel 1988 dalla British School.
La presenza della ceramica dimostra che durante il tardo VIII e l’inizio del IX secolo si realizzarono condizioni sociali ed economiche che hanno favorito e stimolato lo sviluppo dei centri di produzione di ceramica sia nel centro urbano che nella Campagna Romana.
L’omogeneità delle produzioni indica che esisteva una comune tradizione ceramica d’alto livello, che riflette un alto investimento in termini di tempo e presumibilmente di costi. Questa ripresa coincide con un periodo di rinnovato benessere per il centro urbano, con il consolidamento del potere Papale nel quadro della nuova alleanza con il potere Carolingio.
Le conseguenze dell’afflusso di ricchezza nella città si riscontrano nei restauri e nelle ricostruzioni di chiese durante questo periodo.
Ciò indica che questo rinnovato benessere non riguardò esclusivamente i settori manifatturieri di lusso, ma ebbe anche effetto sull’intera struttura socio-economica.
Solo alla fine del VIII, inizio IX secolo, in concomitanza con la fondazione delle domuscultae, e con la generale riorganizzazione della Campagna Romana, si assiste ad una ripresa nella produzione e circolazione di prodotti ceramici; da questo periodo si hanno nuovi tipi ceramici in forme e stile romano-laziale. Da questo periodo si hanno nuovamente tipi ceramici databili con sicurezza.
A Monte Gelato, diventano più consistenti le tracce di occupazione con la fondazione di una chiesa e con una fornace di ceramica domestica che produceva forme diffuse a Roma e nella Campagna Romana, dove la nuova evidenza di ceramica coincide con la riorganizzazione del territorio per merito del papato.
La storia di questi insediamenti è strettamente legata alle vicende politiche ed economiche della città di Roma.
Monte Gelato era sicuramente un centro domuscultilo, legato ad un programma di razionale sfruttamento del territorio e di vettovagliamento della popolazione di Roma. L’unica fornace finora identificata è quella di Monte Gelato, che produceva ceramica acroma e dipinta, in una gamma di forme simili a quelle trovate a Roma ed in altri siti della Campagna Romana.
L’evidenza ceramica illustra nuovi legami fra Roma ed il suo territorio.
I centri rurali non erano riforniti esclusivamente da vasai di Roma, ma fin dal tardo VIII secolo esistevano nella Campagna le condizioni per la produzione di ceramica di uso quotidiano, nonché probabilmente di piccole quantità di una ceramica di lusso.
Anche per la ceramica a vetrina pesante sono esistiti centri di fabbricazione nella Campagna Romana.
E’ possibile che la riorganizzazione della proprietà ecclesiastica del luogo, avvenuta dall’VIII secolo, possa aver creato le condizioni favorevoli per l’emergere di vasai professionisti indipendenti; inoltre, dato che la funzione delle domuscultae era quella di fornire vettovagliamenti per la popolazione urbana, i vasai di Roma e della Campagna potrebbero aver sfruttato un sistema di trasporto e di distribuzione già esistente.
E’ difficile che la grande quantità di ceramica domestica prodotta nel tardo VIII secolo a Monte Gelato abbia rifornito solo i bisogni della piccola comunità rurale.
E’ probabile che gruppi dominanti, come la Chiesa o la nobiltà, abbiano sostenuto la produzione ceramica, in particolare specialistica, invece in Italia centro meridionale le fonti documentarie, e la realtà archeologica, mostrano che la Chiesa ha patrocinato la produzione artigiana e specializzata.
E’ significativo che l’unica fornace identificata in quest’area è associata con un complesso ecclesiastico.
Il modesto livello di standardizzazione dei prodotti, e le forme riproposte nelle diverse classi ceramiche, indicano che si ha una piccola scala di produzione.
Nonostante sia impossibile dire quanto la fornace di Monte Gelato fosse un tipico centro di produzione in quest’epoca, colpiscono le sue piccole dimensioni (ha una sola fornace), è situata a pochi metri dalla chiesa ed è senza una struttura permanente.
Il contesto socio-economico nel quale inserire la produzione artigiana è quello della produzione non agricola nell’ambito del sistema curtense; della natura economica dell’urbanesimo altomedievale, dove ancora sopravvive, del ruolo dei monasteri e delle strutture ecclesiastiche sempre nella produzione artigiana; dei luoghi di residenza delle élite, dei contadini e degli artigiani.
Rispetto al sistema curtense bisogna rilevare come non sia un sistema di produzione completamente chiuso ed autarchico, ma anche rivolto ai mercati urbani; e rappresenta un modo per le élites di impadronirsi del surplus e quindi di poter accedere ai beni di lusso.
Non coincide con una precisa ed unica organizzazione degli insediamenti.
Il modo di produzione curtense è, anche per quanto riguarda le produzioni artigianali, la massima valorizzazione del lavoro indiretto, soprattutto all’interno della casa contadina, sarebbero quindi piuttosto rari i casi di produzioni artigianali all’interno di ginecei o laboratori curtensi.
Sulla natura economica dell’urbanesimo altomedievale ci troviamo ancora di fronte alla “città di consumatori”, lontane dalle città del pieno medioevo nelle quali il “tono economico e sociale” era dato essenzialmente da mercanti e da liberi artigiani, che producevano in un’economia più propriamente di mercato.
Il rapporto dei centri urbani con il mondo rurale (cioè la specializzazione delle rispettive funzioni economiche), non è del tutto chiaro: si parla tuttavia più spesso di ruralizzazione ed autosufficienza dei centri urbani.
In ogni caso lo studio dei manufatti, del loro luogo di produzione ed i livelli della loro distribuzione possono essere in questo esplicativi per sottolineare le differenze spazio-temporali nei distinti centri urbani.
La produzione artigiana nell’alto-medioevo avveniva nell’ambito della casa contadina (ad esempio come lavoro femminile part-time), oppure, specialmente in zone con buone materie prime, da parte di “artigiani part-time/contadini”, che pagavano i censi in oggetti o in semilavorati; da servi alle dirette dipendenze di signori laici o ecclesiastici oppure da liberi artigiani, i quali potevano anche non avere un livello troppo alto di specializzazione per ciò che riguarda il tipo di materiali lavorati, o potevano comportarsi come manodopera itinerante seguendo una committenza ristretta.
Nel caso della manodopera servile e dei liberi artigiani, essi potevano anche risiedere in città.
La fine della produzione e degli scambi di ceramica sigillata e d’anfore pone un interrogativo riguardo le sorti dei vasai locali, che producevano le cosiddette imitazioni delle sigillate, con mercati in genere abbastanza estesi, e quelli che producevano ceramica da fuoco.
La difficoltà nei trasporti e la crisi demografica non favoriscono le specializzazioni produttive, che permettano livelli di output sia qualitativi sia quantitativi più alti, anche a livello regionale.
Si ha una semplificazione e frammentazione produttiva: i vasai ed i vetrai si spostano il più vicino possibile alla potenziale clientela, fatta salva la disponibilità di materia prima e la possibilità di sopravvivenza dell’artigiano e della sua famiglia.
La clientela poteva essere più o meno numerosa, più o meno ricca, più o meno legata alle tradizioni culturali locali, e questo determinò la varietà delle produzioni.
Gli aspetti socio-culturali possono riguardare sia le abitudini alimentari sia l’uso di materiali alternativi alla ceramica.
Non va ad esempio sottovalutata l’aumentata importanza degli “arrosti di carne”, consumo preferito dei ceti aristocratici e per i quali non si necessitava di particolari contenitori di ceramica, rispetto alle “zuppe e bolliti”, più diffusi in ambito contadino ed in parte monastico.
La valutazione del significato economico delle stoviglie di legno è più complessa, poiché possono essere indizio d’abitudini culturali diverse.
Pur essendo perfettamente funzionali, sembrerebbero indicare una semplificazione dei processi produttivi: il ciclo della ceramica è decisamente più complesso di quello del legno, se non altro perché richiede la cottura.
Se si considerano le ceramiche altomedievali italiane globalmente e sotto il profilo qualitativo, i livelli più bassi di produzione casalinga totalmente autarchica non sono affatto frequenti e nei casi in cui le produzioni sono ristrette alle sole ceramiche da cucina, queste sono di solito prodotte “professionalmente” da artigiani, i quali hanno un minimo di attrezzatura fissa, essenzialmente il tornio.
C’è un basso livello di standardizzazione di vasi pur con le stesse caratteristiche morfologiche a livello generale con una elevata variabilità della composizione degli impasti, anche con prodotti morfologicamente simili.
Nella ceramica acroma i vasi di piccole dimensioni tipici del tardo VIII e IX secolo diminuiscono, e dal X secolo scompaiono quasi totalmente; ne rimane principalmente la tipologia del contenitore d’acqua, l’Olla, di medie dimensioni e di forma simile ad un’anfora, tipologia questa derivata da forme tardo-antiche, prodotte su larga scala in area orientale.
I modelli d’Olle acquarie, che si affermano nella fase fine X secolo, mostrano una dipendenza meno diretta, dai prototipi tardo-antichi a forma d’anfora, inoltre si nota una rapida evoluzione verso forme sferiche, con anse larghe ed appiattite, collo cilindrico più breve e largo, fondo a base ricurva con al centro una piccola umbonatura interna.
Questo tipo d’Olla acquaria, destinata alla conservazione dei liquidi, dominerà la ceramica d’acqua acroma fino all’inizio del XIII secolo.
L’epigrafe del Vescovo Leone, della seconda metà dell’VIII secolo/inizio del IX, ci fornisce notizie importanti sulla situazione economica: vengono menzionati ad es. gli orti, una “clusura pomata”, cioè piantata a frutteto, noceti ed oliveti ed un molino; sull’assetto politico-militare con la presenza di Tribuni e comites; sull’organizzazione ecclesiastica diffusa nel territorio con il riferimento alle chiese dedicate a San Clemente e San Gratiliano, all’opera di presbiteri e mansionari.
L’appartenenza al “Patrimonum Beati Petri” è ribadita dal “Privilegium”, con il quale nell’817, Ludovico il Pio conferma al Papa Stefano V, che l’anno precedente l’aveva incoronato imperatore, terre e possedimenti in “Partibus Tusciae”.
La donazione viene rinnovata da Ottone I nel 962 e da Enrico II nel 1014.
L’incremento della città prosegue alla fine del primo millennio, essa acquista peso e potere nel territorio; la sua accresciuta importanza è dimostrata dall’evoluzione del nome: da Castellum a Civitas Castellana.
Nel XII secolo quando il fenomeno delle importazioni esotiche diviene più diffuso, rimane da chiarire il ruolo delle grandi città marinare nella loro redistribuzione, mentre per alcune ceramiche invetriate dell’Italia meridionale e della Sicilia, si può anche pensare ad una distribuzione, lungo le coste, tramite il cabotaggio.
A partire dal XIII secolo il fenomeno senz’altro più rilevante è quello dell’introduzione delle nuove tecniche dell’ingobbio e della maiolica in alcuni centri urbani.
Nella maggior parte dei casi si hanno artigiani, che hanno la proprietà dei mezzi di produzione e delle materie prime e a volte anche della bottega.
I fenomeni un po’ ovunque registrabili nel pieno medioevo sembrerebbero essere: maggiore standardizzazione delle forme, più uniformità negli impasti e nelle cotture, più varietà di tipi morfologici, più varietà di tecniche di trattamento delle superfici, più quantità prodotte in meno officine.
La varietà tuttavia dei prodotti di questo periodo e della loro distribuzione fa pensare a diversi gradi organizzativi, in una forma forse più complessa di quella che emerge dalle sole fonti scritte, che ancora per tutto il XIII secolo sono estremamente rare. Da una parte il livello organizzativo “dell’officina isolata a conduzione familiare” continua sia in ambito rurale che in ambito urbano. In quest’ultima situazione ci sono anche altri fattori come l’ampiezza della clientela locale, la concorrenza con altri artigiani, spesso con le botteghe molto prossime le une alle altre, la possibilità di acquistare materie prime e combustibile senza doverselo procurare personalmente, l’esistenza di rivenditori che potevano acquistare la ceramica per poterla rivendere.
Le ceramiche da fuoco, del tipo pignatte e tegami, pur subendo nelle forme una graduale piccola evoluzione, si caratterizzano nell’insieme fino al tardo XVI secolo.
A partire dal X secolo si iniziano a ritrovare tracce di produzione ceramica con la comparsa di prodotti in ceramica acroma, sia da fuoco che d’acqua, realizzati con un impasto molto grezzo con forti spessori e di fattura molto grossolana, ispirati alle forme di epoca romana.
La ceramica a vetrina pesante, dopo la ricca ed originale produzione del tardo VIII inizio IX secolo, sembra riflettere, nel X secolo, uno sveltimento della produzione: il rivestimento a vetrina è limitato soltanto all’esterno del vaso con risparmio in costi e lavoro, ed il rivestimento, nel tempo, tenderà ad assottigliarsi anche nello spessore. Questo cambiamento porta ad un aumento del benessere, con una maggiore richiesta di ceramica, ad una circolazione dei beni più sicura, ed ad un aumento del numero dei mercati, evidenti specialmente nella Campagna Romana.
La richiesta del mercato era rivolta soprattutto verso le ceramiche meno costose, che comunque dovevano avere una buona qualità. A queste richieste di mercato si affermava nella fine X inizio XI secolo, una ceramica denominata a vetrina sparsa, dove la produzione tende verso nuove forme standardizzate, caratterizzate da una produzione prettamente funzionale, diventando un prodotto sempre più comune e a basso costo, in grado di soddisfare le richieste del mercato.
Dall’XI secolo al XVIII secolo.
Nell’XI secolo la ceramica a vetrina sparsa, superando sia la produzione di ceramica da fuoco che quella ad impasto depurato, sostituisce completamente la produzione della ceramica a vetrina pesante, molto più costosa, e rappresenta oltre il 60% dell’intera produzione di ceramica del Lazio.
La caratteristica principale e la fortuna della ceramica a vetrina sparsa, rispetto a tutte le altre ceramiche, è il suo impasto, molto più argilloso e compatto, ben depurato che nella lavorazione mantiene un’ottima plasticità; se sottoposto poi, a giusta cottura, l’impasto raggiunge un grado d’impermeabilità ideale per un contenitore d’acqua.
La standardizzazione della forma, nella brocca a vetrina sparsa, ne permette una maggiore quantità di produzione con sistemi lavorativi al tornio in serie che si rifanno ad un’eccezionale funzionalità di prodotto con una comoda presa della mano, che ne permette una buona regolazione del flusso, con un getto gradevole e continuo di liquido grazie al particolare beccuccio a mandorla, o beccuccio con estremità espansa. La copertura a vetrina è posta soltanto nella parte superiore della brocca, “sparsa” o “spennellata” rimane forse per tradizione come un elemento estetico o distintivo, non avendo più la sua funzione di copertura.
La produzione di ceramica a vetrina sparsa coincide con una notevole semplificazione della tecnica di fabbricazione. La realizzazione delle brocche avviene in un numero relativamente limitato di botteghe, che riuscivano a produrre molti pezzi in tempi abbastanza brevi, situate in un territorio specializzato nella tradizionale lavorazione della ceramica, il quale doveva far fronte ad una pressante richiesta di mercato.
L’impasto è molto omogeneo e il centro o i centri di produzione sono molto legati alla materia prima, cioè alla presenza di determinate risorse naturali, selezionate per determinate funzioni.
L’insieme della forma, l’invetriatura, -la vetrina è una copertura trasparente che si applica all’argilla ed è, come dice il nome, simile al vetro-, l’impasto molto depurato e plastico, sembrano indicare uno sveltimento nella lavorazione e nella produzione, ed una tendenza ad un risultato sempre più indirizzato verso produzioni in larga scala.
Con l’affermazione definitiva della ceramica a vetrina sparsa la produzione è indirizzata verso forme standardizzate e l’ultima fase di produzione, (tardo XII-inizio XIII secolo), è contrassegnata da vasi prettamente funzionali senza valore estetico. La concentrazione della popolazione intorno ai “castelli” determinò l’intensificazione dell’agricoltura e la realizzazione di un surplus, che fu la base necessaria per la nascita di un commercio di prodotti artigianali.
Il tempo e il lavoro diminuiscono, e i costi più bassi portano allo sviluppo di un settore della produzione più ampio e ad una specializzazione della popolazione locale, che coincide con un aumento della produzione ceramica invetriata, con una riduzione delle aree di produzione che hanno finora rifornito di ceramica invetriata i siti, ed una concentrazione in un’area ricca di materie prime.
Civita Castellana, con un territorio ricco di grandi masse d’argille, dalle formazioni più comuni alle formazioni più pure, risponde, sia per quantità che per qualità di materie prime sia per la specializzazione dei sistemi lavorativi già noti ai ceramisti civitonici fin dal periodo Falisco, alle esigenze del mercato.
A Civita Castellana è stata ritrovata una cospicua quantità di questo particolarissimo tipo di ceramica, con ancora la parte della “fritta”, -composto di sabbia silicea o feldspatica con fondenti piombici o alcalini i quali, fusi insieme, danno origine ad una massa vetrosa e trasparente che dipende dalla purezza delle sabbie utilizzate-, elemento determinante, che ne dimostra la sicura presenza di botteghe e forni per la lavorazione della ceramica invetriata.
La ceramica a vetrina sparsa, termina la sua produzione con l’arrivo delle ceramiche islamiche e maghrebine, giunte con le prime crociate; queste sono ceramiche molto più avanzate, sia nella tecnica che nella realizzazione dei decori, quindi immediatamente molto apprezzate dal mercato che ne fece molta richiesta.
I ceramisti italiani s’ispirarono a questa nuova ceramica sia nelle forme che nei decori, riproponendo versioni prima quasi analoghe, poi ben definite e migliorate dal gusto della nostra tradizione latina.
(Materiale Ceramico di questo tipo fu ritrovato nello scavo effettuato nel 1992 in Loc. Scasato a Civita Castellana).
Nel XII secolo si ha una nutrita attività ceramica. Le tecniche si affinano e l’impasto, molto depurato, permette una tornitura più accurata ed una buona cottura fa sì che la produzione sia di buon livello.
Con l’inizio della copertura a vetrina compaiono le prime forme di decorazione, prima a d incisione, poi dipinte in verde ramina e bruno manganese, sotto vetrina.
Nuove forme di ceramica da cucina e domestica saranno introdotte solo nel tardo XII/XIII secolo e la loro apparizione è seguita dall’affermazione di ceramiche da tavola (decorate con vetrine piombifere e stannifere), che contraddistinguono un nuovo scenario produttivo. Queste nuove produzioni segnano la fine della tradizione “dell’invetriatura sparsa”, la cui produzione cessò con l’inizio del XIII secolo.
Nel XIII secolo la ceramica è ormai a copertura a smalto stannifero, ma non essendo lo stagno di facile reperibilità ed essendo soprattutto costoso, nella produzione locale si rinvengono ceramiche smaltate con una miscela di stagno e caolino, facilmente reperibile nel territorio, “inventate” per contenere i costi di produzione.
Tale soluzione tecnica aveva dei difetti, poiché nel tempo la copertura con questo smalto perdeva consistenza e si polverizzava.
Nel XIV secolo tale tecnica sparisce e si ritorna alla copertura a solo stagno con risultati di ottima qualità di lavorazione della ceramica.
In questo periodo le decorazioni e le forme s’ispirano alla produzione ceramica dell’Italia centrale della cosiddetta “famiglia verde”.
Nel XV e XVI secolo la produzione ceramica aumenta ispirandosi ai decori dei centri di produzione più noti, soprattutto Faenza e Deruta.
E’ visibile una semplificazione dei decori e una non attenta cura dei dettagli, ma è anche evidente una spiccata fantasia e una grande capacità tecnica finalizzata ad una produzione più di “quantità” che di “qualità”.
La lavorazione è molto veloce e la capacità produttiva concorrenziale.
Vasto è il repertorio decorativo con infinite varianti nelle greche che decorano piatti e boccali. Interessante è l’asportazione di parte del collo del boccale a becco a rostro.
Dal XV secolo la città torna stabilmente sotto il controllo della Santa Sede, che la cede dapprima in temporanea signoria ai Savelli e poi la regge con la nomina di un governatore.
Sotto il governatorato di Rodrigo Borgia, che poi diviene Papa con il nome di Alessandro VI, si assiste al riassetto del centro urbano: rimane come testimonianza la porta Borgiana, che si apre alla base dello sperone tufaceo, e nell’imponente rocca costruita ad opera del Sangallo il Vecchio, a protezione dell’istmo che congiunge la città all’entroterra.
Agli inizi del 1500 l’opera fu portata a compimento da Giulio II della Rovere, che vi fece aggiungere il mastio ottagonale.
Un significativo sviluppo si registra anche nell’architettura civile, come dimostrano i palazzi rinascimentali, ad es. i palazzi Peretti e Trocchi, che dominano le più importanti vie cittadine e la “Fontana dei draghi”, fatta costruire per pubblica utilità dal Cardinale Filippo Boncompagni nella Piazza di Prato.
Nello Statuto comunale di Civita Castellana del 1565 gli abili ceramisti del posto, denominati “vascellari”, occupavano il terzo posto nella graduatoria dei mestieri.
La “Corporazione dei vascellari”, che riuniva coloro che lavoravano l’argilla per produrre vasi e utensili, viene citata nello Statuto municipale di quella data, e il fatto che i “vascellari” vengano nominati in questo documento, è un elemento importante per comprendere quale sia stato il peso economico e sociale di questa categoria nella comunità tenuto conto del fatto che non tutti i mestieri venivano menzionati.
Inoltre è significativo il fatto che i “vascellari” ricoprissero il terzo posto nella scala dei mestieri e nell’ordine in cui dovevano susseguirsi le corporazioni durante la processione che si svolgeva durante la festa patronale, ciò indica anche una loro rilevante consistenza numerica.
“A testimonianza c’è la presenza di un contratto di compravendita di una vigna, datato 1625, nel quale appare come testimone un vasaio”.
Dalla fine del secolo si attuano importanti interventi di razionalizzazione della rete viaria per migliorare le comunicazioni con la capitale: Papa Sisto V inizia la costruzione del “Ponte Felice” per facilitare l’attraversamento del Tevere.
Nel 1609 viene tracciata la variante della via Flaminia, con una deviazione, che si diparte dall’Osteria di Stabbia.
Agli inizi del 1700, grazie al ponte Clementino, viene attraversata la forra del Rio Maggiore e, alla fine del secolo, è realizzato il collegamento tra la Cassia e la Flaminia, con il raccordo della via Nepesina (1787-1789).
Nel XVII secolo l’ispirazione per le forme ed i decori segue le mode del tempo, modellandosi alla produzione dei centri più famosi, come Faenza e Savona.
La metodologia lavorativa è la stessa e si ha una semplificazione dei decori per aumentarne la produttività.
Si sviluppano caratteristiche decorative che diventano tipicamente civitoniche.
Un fattore non trascurabile di questo periodo storico è dato dall’influenza e dai legami con lo Stato Pontificio, il quale attiva una fitta rete di rapporti mercantili con Civita Castellana.
A dimostrazione di questi rapporti, e del peso dell’insediamento Pontificio nella cittadina, sono la presenza della Diocesi e d’importanti edifici storici.
Dal XVIII secolo al XX secolo.
Nel XVIII secolo grazie al progresso continuo dell’arte ceramica in Italia, alle antiche botteghe civitoniche si sostituirono manifatture di maioliche e di terraglie bianche, che facevano tesoro delle materie prime locali.
E’ da questo periodo che le informazioni sulle produzioni ceramiche nella città si fanno sempre più precise e numerose, documentando fino ai nostri giorni le trasformazioni di una realtà produttiva molto viva e versatile.
Comincia il processo, che segna lo sviluppo della città: si deve all’iniziativa e all’ingegno di figure come quella del Valadier, del Volpato e del Coramusi, lo sfruttamento delle cave di argilla, rinvenute nei pressi del Monte Soratte.
Operavano in questo periodo abili ceramisti che si distinsero per la loro pregiata produzione, e tra loro vanno certamente ricordati: Buonaccorsi, Consalvo, Valadier e Mizielli, che contribuirono all’affermazione di uno “stile” nella produzione delle ceramiche.
Giuseppe Valadier: nacque nel 1762 a Roma. Influenzato da una cultura ancora barocca, aderì al Neoclassicismo, diventandone uno dei maggiori esponenti. Nominato architetto “camerale” nel 1786, esercitò la propria attività in molte città dello Stato Pontificio. Del 1793 è il suo primo progetto di sistemazione della Piazza del Popolo a Roma, dell’anno successivo quello dell’Ospedale di San Salvatore a Mont’Olmo e del 1798 quello della collegiata di Monsampietrangeli (Ascoli Piceno). Nel corso della sua attività rileva una personalità in cerca d’originalità e, nel tentativo di crearsi un nuovo stile, proseguendo nella ricerca iniziata dal Piranesi, adotta schemi progettuali basati sul libero accostamento degli elementi architettonici. Importante la sua attività d’archeologo e studioso, restauratore di monumenti: nel 1805 rinnovò Ponte Milvio e consolidò il Colosseo, nel 1821 restaurò l’Arco di Tito; come urbanista avviò la sistemazione della via Flaminia e lo isolamento di Sant’Andrea del Vignola; il piano generale della passeggiata dei Fori imperiali, la progettazione del borgo di Fiumicino e la sistemazione della Piazza di S. Giovanni in Laterano. La sua opera più nota resta la progettazione della Piazza del popolo con le successive sistemazioni del Colle Pincio, della casina, del monastero degli Agostiniani, imbocco di via di Ripetta e via del Babuino e della Caserma nel 1822. Morì nel 1839. Può essere considerata la figura più importante per la produzione della ceramica a Civita Castellana.
Una data significativa per la produzione della ceramica nel territorio di Civita Castellana può considerarsi quella del 7 maggio 1792 data in cui con chirografo pontificio venne concessa a Giuseppe Valadier, Giuseppe Francesco e Antonino Mizielli la privativa per l’estrazione dell’argilla necessaria per la fabbricazione della terraglia “ad uso inglese”. Essi non si limitano ad ottenere la privativa per l’estrazione ma migliorano gli impianti adeguando la produzione locale ai nuovi modelli e ai nuovi gusti.
Questa operazione avrebbe aperto la strada a nuove forme di produzione di tipo industriale con lo sbocco verso nuovi mercati.
Questo processo d’ammodernamento economico, che si era già avviato nella comunità, trova una forte accelerazione in epoca repubblicana con lo sviluppo dei liberi commerci per due motivi fondamentali:
- L’esperienza rivoluzionaria, quando le truppe francesi arrivarono in Italia, aveva fatto passi da gigante nell’affermazione della nuova classe borghese.
- L’arrivo delle truppe francesi, con la conseguente instaurazione di un nuovo governo, sconvolse il tessuto cittadino.
Si creò una situazione incerta dove il vecchio ordine politico e sociale fu messo in discussione, favorendo l’intraprendenza e le capacità di uomini nuovi, che riuscirono ad approfittare delle prospettive che la situazione offriva loro.
In questo periodo rifioriscono i commerci ed emergono concetti nuovi:
- Libera concorrenza.
- Liberi prezzi.
- Bottega privata.
Altro impulso fondamentale per la produzione ceramica, con apporti originali per la produzione e con idee innovative, venne dato da Giovanni Trevisan detto “Volpato”, nato a Bassano del Grappa nel 1732 e morto il 25 Agosto 1803, ceramista ed incisore.
Inizialmente si dedicò all’arte incisoria su rame perfezionandosi presso la stamperia di Giovanni Battista Remondini. Discendente di una famiglia di tipografi e editori attiva a Bassano dalla metà del sec. XVII al 1860. Avviò l’attività Giuseppe Antonio verso il 1640 con la produzione e il commercio di almanacchi e altre stampe popolari. Giuseppe sviluppò in particolare la produzione di libri illustrati fondando la celebre scuola di calcografia che, dal 1758 sotto la direzione del Volpato divenne uno dei maggiori centri europei di quest’arte. La casa Remondini conobbe le sue maggiori fortune con il figlio di Giuseppe, Giovanni Battista.
La sua prima fase di formazione professionale coincide con la permanenza nella sua città natale, mentre quella in cui egli diventa un ottimo artista ed un eccellente imprenditore corrisponde con la sua permanenza prima a Venezia ed in seguito a Roma.
Nella Capitale il “Volpato” apre nei pressi di Piazza di Spagna una bottega di stampe nella quale era annessa una scuola d’incisione; in seguito si dedicò allo scavo ed al commercio di marmi antichi, ma le sue innate capacità artistiche e il suo intuito imprenditoriale lo portarono ad impegnarsi nella produzione della porcellana ed ebbe dal Pontefice Pio VI, nel 1766, una privativa per poter scavare argille plastiche su un’estensione di 18 Km dal monte Soratte.
Nel 1798 lo Stato Pontificio fu occupato dalle armate rivoluzionarie e fu proclamata la Repubblica Romana.
Nel nuovo assetto amministrativo, con il quale si tentò di ammodernare l’organizzazione del vecchio regime ed introdurre le riforme, Civita Castellana venne a far parte del Dipartimento del Tevere.
Nel novembre dello stesso anno il Re di Napoli, al comando di un esercito di 40.000 uomini, marciò su Roma costringendo i Francesi a ritirarsi, ma nella battaglia che si accese nei dintorni di Civita Castellana i reparti napoletani furono sconfitti.
La cittadina ebbe una fitta rete di rapporti con lo Stato Pontificio e la riforma fiscale del 1801, ed una serie d’editti papali, favorirono la libertà ed il commercio, ma la grave situazione di fondo in cui versava lo Stato Pontificio non cambiò.
Era mancata un’idea forte che avesse permesso di superare l’inerzia del passato e della tradizione e il rigido particolarismo della comunità.
Questa idea inizierà ad affermarsi grazie alle spinte per l’unificazione nazionale.
I traffici erano favoriti dalla collocazione territoriale di Civita Castellana vicina a due importanti vie di comunicazione, Cassia e Flaminia, e la vicinanza del Tevere.
Il Volpato ristrutturò con capitali propri, e senza ricorrere a nessun mutuo, un edificio e nel 1801, con la collaborazione del figlio Giuseppe, aprì una nuova fabbrica a Civita Castellana.
Egli si era reso conto del pregio del caolino presente in zona e, consapevole del danno che l’introduzione di terraglie inglesi arrecava alla produzione italiana, decise di sfruttare le risorse disponibili per favorire la produzione locale a svantaggio di quella d’importazione.
Indirizzò la produzione verso la porcellana e la terraglia e in particolare acquistò molta fama per gli oggetti artistici in “bisquit”, oggi definito “biscotto”.
L’arte della ceramica di Civita Castellana si perfezionò a tal punto che Napoleone I, per alcuni splendidi oggetti di maioliche a “biscuit” esposti a Roma al Campidoglio, premiò il Volpato con medaglia d’argento.
Con le materie prime locali egli riuscì a fare lavori di pregio non comuni, evitando la concorrenza in Roma dei prodotti stranieri.
Egli diventò così il precursore dell’industria per la produzione di stoviglierie.
La produzione del Volpato è rappresentata da piccole statue che riproducono sculture greche e romane di gusto neoclassico con esecuzioni di porcellana in “bisquit” e anche in “terra uso Inghilterra”.
In base alle notizie di un listino prezzi coevo, conservato nella raccolta di stampe Bertarelli nei Musei Civici di Milano, sembra che si producessero in contemporanea la terraglia e la maiolica.
Morto il Volpato nel 1803, il figlio Giuseppe continuò le tradizioni artistiche del padre.
Da Giuseppe la fabbrica passò al nipote Angelo e, quindi, al figlio di questi, Mariano, chiamato anche lui “Volpato”, che nel 1850 cedette la ceramica al bolognese Tommaso Roversi, il quale non fu secondo, per la qualità delle sue produzioni e per l’ottima organizzazione commerciale, ai suoi predecessori.
A Roversi successe Giacomo Ruvinetti che, con il Laurenti e i fratelli Profili, costituì la fabbrica “Ruvinetti e compagni”.
Nel periodo che andò dal 1860 al 1870, dopo le conquiste sabaude e le annessioni, lo stato Pontificio si ridusse al solo Lazio e la produzione ceramica civitonica acquistò una rilevante rinomanza.
In occasione del giubileo sacerdotale di Pio IX, 11 Aprile 1869, tutte le comunità locali inviarono al pontefice numerosi omaggi, che possono quasi rappresentare una piccola esposizione industriale del Lazio e della Tuscia, e a tale proposito lo storico tedesco Gregorovius annotava nei suoi Diari Romani: “Si vedeva la seta romana, le pignatte di Civita Castellana, i frutti di Nemi, zolfo e allume di Viterbo e di Tolfa…”.
Verso la fine dell’ottocento ed il principio del nuovo secolo si costituirono le fabbriche del Brunelli, dei fratelli Cassieri, della società Conti e d’altri ancora.
Ha origine nel 1881 la prestigiosa “Marcantoni” specializzata nella produzione di stoviglierie, ceramiche artistiche e sanitari che continuò la sua attività fino al 1960.
Dal 1900 ad oggi.
Agli inizi del secolo una profonda innovazione trasformò la produzione ceramica civitonica, fino a quel momento prettamente artistica, e si aggiunse la produzione di sanitari grazie soprattutto all’intuizione ed alla genialità di Antonio Coramusi, discendente da una famiglia di artigiani ceramisti.
Nei primi anni dell’800 in Inghilterra Sir John Harinton inventò il “water-closet” il cui prototipo fu realizzato da Giuseppe Bramah.
Questa invenzione arrivò in Italia del Nord verso i primi anni del Novecento e fu importata a Civita Castellana dal Coramusi.
Egli fece esperienza a Roma, in una piccola fabbrica di maioliche chiamata “Moletta”, situata sulla strada che da Via della Lungaretta conduce al Gianicolo, e dopo aver studiato a fondo le caratteristiche di questo nuovo prodotto ed aver appreso le sue tecniche di fabbricazione, tornò a Civita Castellana dove, in località Terrano, attrezzò una piccola fabbrica, con una rudimentale fornace, nella quale utilizzò esclusivamente materie prime locali.
In questo stabilimento eseguì numerosi esperimenti fino ad ottenere i primi risultati positivi.
Nasceva così nel 1900 l’industria del sanitario, la quale insieme a quella delle stoviglierie fa della ceramica la risorsa principale dell’intero comprensorio e l’attività produttiva che lo caratterizza e lo rende famoso in tutto il mondo.
Le prime fabbriche di un certo rilievo sorsero nei primi decenni del secolo.
Un altro importante imprenditore fu il siciliano Salvatore Borruso, che cercò di apportare innovazioni alla tecnica degli smalti di copertura per poter eliminare l’uso degli ossidi di stagno e di piombo.
L’industria della ceramica si è sviluppata soprattutto grazie alla presenza di materie prime che potevano essere estratte a prezzi modici.
Va sottolineato il fatto che né Coramusi, né Valadier, né Volpato sono civitonici, ma sono artisti provenienti “dall’estero”, attirati dalle cave di argilla e dalla possibilità di avere appalti pontifici.
L’intervento esterno di questi artisti è stato di fondamentale importanza, poiché hanno arricchito la ceramica di conoscenze tecniche, delle quali i civitonici hanno beneficiato.
E’ stato il punto di partenza ed il valore aggiunto della produzione ceramica di Civita Castellana ed è alla base del passaggio dall’attività economica di tipo “artigianale” ad una di tipo “industriale”.
Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo si fece ricorso all’acquisto di terre straniere rinunciando all’estrazione locale; tale sostituzione provocò dei costi di produzione più elevati e molte fabbriche, soprattutto di porcellane, subirono la concorrenza di altre imprese e furono portate al fallimento.
Per porre rimedio a questa situazione si rese necessario dare agli artigiani locali una qualificazione professionale che gli consentisse di produrre manufatti di pregio a prezzi concorrenziali.
A tale proposito Ulderico Midossi, avvocato e notaio, che lasciò alla sua morte, per disposizione testamentaria redatta l’8 novembre 1925 la somma di lire 20.000 da destinare ad un premio annuale per il miglior alunno, fondò con Ugo Favalli, nel 1913, una scuola d’Arte professionale nella quale i giovani potevano imparare l’arte di produrre ceramica: anche il Comune decise di prendere parte a quella iniziativa, dopo gli scarsi risultati avuti dall’insegnamento serale del disegno iniziato nel 1893.
Nel 1917 ci fu il primo corso di laboratorio ceramico con Giuseppe Sbrana, ceramista di Firenze, e venne costruito un forno per la cottura.
In questa Scuola hanno insegnato, oltre allo scultore Duilio Cambellotti, anche Guttuso, Marini Martinez, Carotti, Tazzi, Montanarini, Ettorre e Visani.
Nel 1920 entrarono nella scuola tre ceramisti locali: Profili, Lemucchi e Tribolati che allestirono anche una mostra con i lavori fatti dagli allievi.
Ci fu un costante aumento degli iscritti soprattutto negli anni trenta.
Bisognava anche riprendere l’estrazione e l’uso delle materie prime locali, a tale proposito importante fu il contributo dell’economia autarchica fascista, che incoraggiò lo sfruttamento delle risorse del posto.
Va ricordato che per ciò che riguarda l’industria del sanitario, per le continue esigenze della domanda, non ci si poteva avvalere soltanto delle materie prime locali.
Sempre in questi anni, in località Treja, nacque la ceramica futurista italiana per merito di Roberto Rosati, allievo all’Accademia di Belle Arti di Roma del noto artista Duilio Cambellotti.
Nel 1923 Ulderico Profili attivò e diresse lo stabilimento che assorbì l’antica “Ruvinetti e compagni di Treia”, nel quale sperimentò ed impiegò per gli smalti di copertura il suo brevetto “vitrinas”, con il quale ottenne molti premi nelle principali mostre italiane.
Nel 1915 Alessandro Sbordoni fondò un’azienda che ebbe tre stabilimenti: uno a Stimigliano Scalo e due a Civita Castellana: nel primo venivano prodotti con la marca “Hygia” articoli sanitari, mentre negli altri due, oltre ad articoli sanitari, venivano prodotte piastrelle ed oggetti di decorazione artistica.
Serafino Vincenti ottenne nella prima Mostra Romana della ceramica del 1911 tre medaglie d’oro e fondò con il fratello, nel 1927, una fabbrica d’articoli sanitari la “Ceramica Vincenti”, assorbendo la SAFAC, fabbrica che ha cessato la sua attività nel 1997.
Tuttavia la produzione artistica non tramontò del tutto ma anzi continuò a fiorire in piccole e qualificate fabbriche (Fallisca Ars, Faci, la Fll. Crestoni, la Coramusi, la Vaselli).
Fu avviata anche la produzione delle piastrelle nella fabbrica Percossi, presso la quale Basilio Cascella eseguì, negli anni venti, i grandi pannelli murali che decorano il porticato pseudoromano nelle terme di Montecatini.
Gli ultimi 50 anni sono caratterizzati da vicende alterne: l’economia autarchica susseguita alle sanzioni del 1935, e la seconda guerra mondiale, non hanno giovato all’affermazione dell’industria ceramica civitonica, la quale ha dovuto utilizzare per la produzione materie prime locali, meno raffinate e pregiate, rinunciando al lancio su mercati internazionali.
Il settore industriale ebbe una piccola ripresa, legata soprattutto alla ricostruzione del paese nell’immediato dopoguerra, ma in seguito la crisi generale del settore ha portato alla chiusura d’alcuni stabilimenti, che in parte furono rilevati dagli operai che erano stati licenziati, i quali riuscirono nel duplice intento di riacquistare il posto di lavoro e di favorire la crescita e la diffusione della ceramica in contrasto con le difficoltà del settore in quel periodo.
La figura dell’imprenditore “classico” fu sostituita con quella del “socio-operaio”, che svolgeva la doppia figura di lavoratore e imprenditore, giacché possedeva delle quote azionarie della fabbrica in cui lavorava.
Tra le cause di questa crisi bisogna ricordare:
- L’inconsistenza del prodotto locale.
- Il ristagno dell’industria edilizia pubblica e privata, dall’andamento della quale il settore del sanitario risente notevolmente soprattutto per le produzioni di grandi volumi.
- La concorrenza d’altre imprese che potevano vantare un mercato consolidato con un’efficiente rete commerciale, e prodotti più competitivi sia per il design che per la qualità.
Occorreva, a questo punto, compiere una scelta radicale:
- Era necessario riconvertire ed ammodernare gli impianti.
- Bisognava rendere i prodotti e i manufatti più concorrenziali.
Fino a quel momento, salvo rare eccezioni, i processi di lavorazione erano rimasti quelli tradizionali: intervento a mano per l’applicazione di lastre d’argilla fresca sugli stampi e successivo assemblaggio, verniciatura a bagno e cottura in fornaci toscane a legna.
Il periodo che va dal 1960 al 1970 è caratterizzato dall’introduzione dei moderni sistemi di produzione:
- Forni di cottura a tunnel e a ciclo continuo alimentati a nafta o a gasolio.
- Colaggio del manufatto mediante iniezione di barbettina: è il processo produttivo che consiste nel versare l’argilla liquida all’interno di forme di gesso che riproducono i beni da produrre in serie.
- Selezione dei materiali che compongono l’impasto.
- Maggiore cura nella scelta dei modelli e degli smalti.
Questi rinnovamenti sono stati indispensabili, poiché nel 1965 alcune aziende cuocevano ancora i prodotti nelle fornaci a legna e in generale la produzione di Civita Castellana era ancora scarsamente considerata.
In questo periodo si assiste ad una crescita della ceramica sanitaria di Civita Castellana, come conseguenza del boom edilizio avutosi nel periodo di ricostruzione del paese, ed è stato il momento in cui il mercato assorbiva tutta la produzione a prezzi competitivi.
La creazione di molte nuove aziende ha comportato la loro espansione anche nei paesi limitrofi, che avevano economie di carattere agricolo, generando quello che viene definito il “Comprensorio di Civita Castellana”.
Gli anni ’70, trascinati dal forte incremento degli anni precedenti, continuarono a registrare un aumento della produzione e la domanda spinse gli imprenditori locali ad orientarsi più sulla “quantità” che sulla “qualità” a scapito della rifinitura. Sono sorti numerosi nuovi stabilimenti alcuni di livello artigianale, altri capaci di assorbire la manodopera di centinaia d’addetti.
Rimangono invariate le innovazioni in campo tecnologico e la professionalità. In campo organizzativo cresce l’immissione di manodopera non specializzata attratta dagli ingenti guadagni.
Si assiste ad un forte aumento dell’immigrazione di forza lavoro non specializzata proveniente dal comprensorio.
Molti giovani entravano in fabbrica attirati dalla facilità del guadagno: un ceramista stampatore tra straordinario e stipendio vero e proprio, finiva per guadagnare il doppio di un insegnante; tutto ciò ha portato un aumento del tenore di vita delle famiglie specie in quelle in cui lavoravano più persone.
La crisi energetica della metà degli anni ’70 ha portato al fallimento di molte aziende che operavano con il mercato arabo a vantaggio di quelle che avevano rapporti con il mercato europeo.
Questa crisi portò ad una selezione delle industrie delle stoviglierie, eliminando tutte quelle nate con quella fretta o necessità che sul momento il mercato richiedeva, lasciando la responsabilità di rappresentare questo settore a quelle rimaste.
Queste imprese furono costrette a migliorare continuamente il prodotto portandolo in ogni parte del mondo.
Nacquero circa dieci aziende sanitarie (Catalano, Delta, Mondial, Ilca, Europa, Venus, Globo, Olimpia) ed altre vennero ristrutturate ed ampliate (Astra, Cosmati, Kerasan), ma altre ancora non riuscirono a superare la crisi di quel periodo.
Negli anni ’80 si assiste ad un capovolgimento della situazione che si era verificata negli anni precedenti.
Il mercato europeo si “chiuse” e le aziende si rivolsero al mercato interno provocando attriti con chi già vi operava.
Civita Castellana ha vissuto un periodo di grave crisi dovuta alla struttura delle sue aziende, che non riuscivano ad essere competitive.
Tale crisi fu in parte attenuata poiché molte aziende si rivolsero al mercato del Medio Oriente.
La figura del socio-operaio, che tranne in pochi casi era un ostacolo alla crescita delle aziende, sparisce quasi del tutto e contemporaneamente investitori privati hanno apportato capitale fresco esterno.
Alcuni soci furono “liquidati” e il potenziale deliberante dell’imprenditore rimasto a capo dell’azienda aumentò notevolmente.
Vennero effettuate operazioni di incorporazione e fusione con altre aziende e si crearono gruppi in grado di avere una maggiore competitività.
La produzione di questo periodo aveva raggiunto livelli tecnici e di sviluppo d’avanguardia ed era prettamente rivolta al settore del sanitario e delle stoviglierie; queste ultime rappresentavano più del 60% del prodotto nazionale ed occupavano una buona fetta di quello mondiale con una produzione di circa 5.000.000 di pezzi al mese.
Fu costituito, dalla quasi totalità delle aziende ceramiche del settore igienico sanitario, delle stoviglierie e dei pavimenti in gres ceramico, il “Centro Ceramico di Civita Castellana”, che aveva lo scopo di effettuare ricerche di mercato e di fornire alle aziende tutte le informazioni di cui avevano bisogno per poter ottimizzare al meglio la loro produzione; oltre a diffondere sia in Italia che all’estero, il marchio di Civita Castellana, rendendolo sinonimo di qualità, tecnologia e buon gusto.
Le risorse finanziarie, utilizzate dall’origine dell’economia distrettuale fino alla seconda metà degli anni ’80, sono state di natura prevalentemente endogena.
I civitonici, sia come soci-operai che come “gruppi familiari” operanti nel settore ceramico, hanno sempre finanziato direttamente le loro attività, mentre nella seconda metà degli anni ’80, sono intervenuti capitali esterni attraverso le “merchant bank”.
Negli anni ’90 la buona propensione all’export delle aziende civitoniche ha consentito loro di ottenere nell’insieme delle performance che non solo non hanno trovato riscontri negli altri settori dell’economia locale, ma che addirittura sono state superiori a quelle ottenute dall’industria ceramica a livello nazionale.
Hanno contribuito a questa prestazione il contemporaneo buon andamento sia del settore dei sanitari che quello delle stoviglierie.
Il fatturato delle 16 principali aziende attive a Civita Castellana nella produzione di terraglie e porcellane è salito di oltre il 30% (dall’inizio del 1990 al 1994), arrivando a coprire circa il 30% dell’intera produzione nazionale, percentuale che tocca il 50%, se si considerano soltanto le terraglie per uso domestico.
Questo è stato possibile grazie alla concentrazione di diverse imprese in un unico gruppo, e grazie ad una propensione all’export elevatissima, che fa collocare sui mercati esteri oltre il 50% della produzione e il 40% del fatturato.
Anche le ceramiche sanitarie, nonostante il poco felice andamento del settore edilizio, hanno goduto di una domanda interna stabile approfittando anche delle buone opportunità fornite dai mercati esteri.
La produzione di sanitari del polo ceramico di Civita Castellana è stata, nel 1994, pari come quantità al 36,1% della produzione nazionale, e come fatturato al 27,4%.
Durante la prima metà del 1995, la fase positiva del comparto ceramico, anche se ha rallentato la sua dinamicità, ha fatto comunque registrare valori superiori a quelli dell’anno precedente di un altro 4,3%, facendo lievitare di due punti percentuali il grado di utilizzo degli impianti, attestato intorno al 90% della produttività massima.
Negativo si presenta l’andamento dei prezzi delle materie prime e dei semilavorati cresciuti del 7,3%, percentuale questa che non si è trasferita sui prezzi dei prodotti finiti che sono cresciuti soltanto del 2%.
Il tasso di sviluppo è salito dello 0,44%, grazie ad un ridottissimo numero d’iscrizioni e cancellazioni dal registro delle imprese.
Sono aumentate anche le giacenze di semilavorati (+1,4%) e prodotti finiti (+1,4%), mentre sono rimaste stabili le scorte di materie prime.
Civita Castellana costituisce, ormai da anni, la principale realtà industriale del viterbese, inserendosi come “isola industriale” in un contesto provinciale prettamente agricolo. Lo sviluppo industriale civitonico ha interessato l’intero comprensorio: la presenza dell’industria ceramica interessa anche i comuni di Fabrica di Roma, Castel S. Elia, Nepi, Corchiano, Gallese, ed influenza altri comuni come Vignanello, Vallerano, Faleria, Carbognano, Caprarola, Magliano Sabina.
Come Civita Castellana sia potuta diventare il centro propulsore di un così incisivo sviluppo industriale all’interno di un territorio agricolo è spiegabile attraverso l’esistenza di un terreno culturale fertile dovuto ad una profonda tradizione artigianale, e la particolare propensione al rischio d’impresa di cui sembrano ricchi gli artigiani civitonici.
I punti di forza di questo sviluppo vanno proprio cercati soprattutto:
- Nell’esistenza di un consenso sociale generalizzato nei confronti dell’attività ceramica che all’inizio si esprimeva nel coinvolgimento della forza lavoro in strutture di tipo cooperativo, disponibili alla compressione dei livelli salariali e all’accrescimento dei ritmi produttivi.
- Nell’esistenza di una tradizione d’elevata professionalità cui si è potuto far riferimento per reperimento di manodopera altamente specializzata.
I maggiori acquirenti della ceramica civitonica sono Europa, Medio Oriente, USA.
Quella di Civita Castellana è una realtà economica e sociale complessa.
Questo territorio deve a questa lavorazione la sua identità storica, culturale e sociale.
Oggi la provincia di Viterbo vanta uno dei due embrioni di distretti industriali della regione, la ceramica di Civita Castellana, con 5 mila addetti, che ha però uno dei suoi pezzi portanti, la stoviglieria, in crisi, con 400 licenziamenti e 800 procedure di mobilità.
La Cina ha invaso il mercato europeo con pezzi di buona fattura e poco costosi, e mentre i francesi hanno salvaguardato i “Limoges” e i tedeschi la “Baviera”, non si è riusciti a fare lo stesso con Civita Castellana, nonostante essa produca il 60% delle stoviglierie italiane.
Negli ultimi anni c’è stata una continua perdita di posti di lavoro.
Molti mutamenti hanno interessato il comprensorio di Civita Castellana dal punto di vista produttivo e sociale.
Molte imprese non operano più autonomamente ma all’interno di gruppi.
La ricchezza fondamentale del distretto industriale, il “saper fare ceramica”, sta mutando grazie all’introduzione di nuove tecnologie che non richiedono più la conoscenza del “mestiere” ma richiede la conoscenza di tecnologia e la necessità, legata ai capitali, di potersela procurare.
Nel 1998 gli addetti nel settore delle stoviglierie erano oltre 2.000; oggi sono circa 1.400 di cui più di 600 sono in cassa integrazione o hanno contratti di solidarietà.
Nel 2001, le due specializzazioni produttive, che caratterizzano il Polo Ceramico di Civita Castellana, hanno avuto un andamento differente:
- Il settore dei sanitari ha confermato il buon momento che dura da alcuni anni, ma ha rallentato la sua corsa.
- Il settore delle stoviglierie, dopo la breve ripresa nel 2000, ha avuto di nuovo una propensione negativa confermando la crisi strutturale di cui soffre l’intero settore.
L’insieme di questi 2 diversi andamenti ha determinato per la ceramica civitonica una riduzione delle quantità prodotte dello 0,3%, a cui ha fatto seguito un più brillante + 2,7% in termini di fatturato a valori correnti.
Il fatturato nel 2001 è stato complessivamente di circa 334 milioni di Euro rispetto ai circa 325 milioni del 2000 – con un aumento intorno ai 9 milioni - .
L’andamento non eccezionale dell’industria della ceramica è confermato anche dai dati nazionali che segnano:
- + 1,4% in termini di quantità.
- + 3% in termini di fatturato.
Questo dato è pesantemente influenzato dall’andamento del settore delle piastrelle, poco presente nella provincia di Viterbo.
La produzione di sanitari nel 2001 ha risentito dei forti incrementi degli anni precedenti, che hanno segnato un + 6,2% nel 1999 e un + 0,7% nel 2000, assestandosi su un – o,3%, il quale è tuttavia sensibilmente migliore del dato medio del settore, in calo dello 0,8% e che, in ogni caso, consolida i successi avuti negli anni passati.
Per il settore delle stoviglierie, dopo il breve rialzo del 2001 che ha segnato un + 3,6%, l’indice della produzione è tornato, come accade da diversi anni, su valori negativi attestandosi su un – 0,2%.
Per quello che riguarda il fatturato i risultati sono decisamente diversi.
Per i sanitari, l’incremento è del 9,6%, di poco inferiore al + 9,8% del 2000.
Questo dato assume un significato ancora più importante se si considera che l’industria nazionale del settore ha realizzato, in media, un aumento dei ricavi di solo il 3,2%.
L’analisi dei dati forniti dalle singole imprese civitoniche mette in evidenza un andamento dei ricavi differente da impresa ad impresa.
Sulle 11 ditte che compongono il campione di rilevazione:
- 3 hanno conseguito incrementi molto consistenti.
- 2 si sono attestate di poco sotto il 10%.
- 4 hanno avuto incrementi modestissimi.
- 2 hanno visto diminuire i loro ricavi.
Per l’anno 2000, in condizioni di mercato più favorevoli, la crescita del fatturato era stata generalizzata.
In presenza di una produzione praticamente stabile, gli incrementi di fatturato vanno attribuiti principalmente ad un incremento dei listini di vendita, a cui si è sommato un aumento della quota di produzione che si va a collocare sui più remunerativi mercati esteri.
Globalmente le imprese del polo ceramico coprono:
- Il 37,6% della produzione nazionale dei sanitari in termini di valore, con un aumento del’ 8,8% rispetto al 28,9% registrato 5 anni prima.
- Il 46,3% in termini di quantità, con un aumento del’ 8% rispetto al 37,3% registrato nel 1997.
Per quello che riguarda l’andamento dei singoli mercati l’incremento va imputato soprattutto all’esportazione, poiché il mercato interno è rimasto sostanzialmente stabile.
In Italia la scarsa dinamicità dell’ultimo anno è prettamente legata al rallentamento del ciclo positivo del settore edilizio, sia per quello che riguarda le ristrutturazioni, ormai quasi prive degli incentivi che avevano sostenuto il mercato degli anni precedenti; sia per quello che riguarda la costruzione di nuove abitazioni: nonostante l’impennata dei prezzi, sul mercato ci sono ancora notevoli stock di invenduto.
Il settore delle stoviglierie nel 2001 ha attraversato una fase congiunturale molto negativa, con una nuova flessione dei ricavi imputabile soprattutto al mercato nazionale, a cui ha fatto riscontro un ulteriore modesto incremento delle esportazioni.
Il fatturato complessivo, dopo i progressi avuti nel 2000 che avevano segnato un aumento del 10,5%, è nuovamente diminuito del 4,1%.
Dopo una crisi durata molti anni, nel 2000 le imprese civitoniche del settore avevano beneficiato di un’improvvisa risalita, trainata dall’export che aveva registrato un significativo + 27,9%, a cui aveva fatto riscontro una sostanziale stabilità del mercato interno che segnava un rialzo dello 0,2%.
Nel 2001 pur potendo ancora contare, sia pur in forma ridotta, sul buon andamento dei mercati esteri, che segnavano un rialzo del 7,5%, la produzione di stoviglierie si è trovata ad affrontare, sul mercato italiano, una congiuntura molto negativa al punto di arrivare a segnare una flessione del fatturato interno del 19,2%.
Questa situazione è stata causata sia da una nuova caduta della domanda che dall’inarrestabile ascesa della concorrenza estera.
Il settore dipende sempre più dall’export che rappresenta il 63,6% dei ricavi rispetto al 56,7% dell’anno precedente.
La quota di fatturato realizzata sul posto, cioè vendendo a piccoli commercianti che poi riesportano la merce, è cresciuta fino a toccare il 9,5% dei ricavi, rispetto al 6,7% degli anni passati.
Il numero degli addetti è rimasto sostanzialmente stabile con un calo di appena lo 0,1%, e va ad attestarsi intorno alle 3.700 unità.
Il settore dei sanitari accresce il numero dei propri dipendenti ad un tasso del 4,3%, che si può suddividere in un + 4,7% per gli operai e in un + 2,1% per gli impiegati, segnando un leggero rallentamento rispetto al + 5,3% dell’anno precedente.
In una situazione completamente opposta si trova il settore delle stoviglierie che confermano le perdite degli ultimi anni con una diminuzione del 3,7%, circostanza che va ad aggravare ulteriormente il già pesante – 3,0% dell’anno precedente.
I tagli di personale, operanti soprattutto tramite il blocco del “turn over” del personale, hanno riguardato in maniera più consistente gli impiegati che sono diminuiti del 3,9%, rispetto agli operai diminuiti del 3,6%.
Le ore di Cassa Integrazione, che sono state concesse quasi esclusivamente ad imprese del settore delle stoviglierie, sono aumentate del 27%, passando dalle 227.674 del 2000, alle 290.587 del 2001.
A fine aprile 2002 il portafoglio ordini registra un generale raffreddamento del clima congiunturale d’inizio anno e, mentre per il settore dei sanitari l’andamento degli ordinativi varia molto da azienda ad azienda e la flessione media è contenuta in un – 1,2% che non sembra preannunciare una caduta della domanda, per il settore delle stoviglierie il peggioramento delle condizioni di mercato è generalizzato, arrivando a toccare mediamente una diminuzione del 15,4%.
Ad esempio il “Gruppo Quadrifoglio”, il più grande d’Italia per la produzione di stoviglie, con 680 addetti ha oggi in Cassa Integrazione 410 dipendenti e teme la chiusura definitiva di alcuni stabilimenti come ad esempio la Ceramica Galles, situata nel vicino Comune di Gallese.
Sin dall’inizio del 2002 le amministrazioni comunali della zona, in particolare quella di Gallese dove ha sede il gruppo Quadrifoglio, hanno deliberato ordini del giorno di appoggio alle richieste delle organizzazioni sindacali ed imprenditoriali per sollecitare il Governo a dichiarare lo stato di crisi del settore.
Nel 2002-2003 con il progressivo venir meno degli ammortizzatori sociali, la crisi rischia di toccare il suo culmine, investendo un numero di lavoratori molto consistente, e la categoria, che rischia di essere maggiormente penalizzata, è quella delle donne.
Un segnale del diverso clima, che si respira nei due compartimenti, viene dal constatare come nel settore dei sanitari il 40% degli imprenditori è orientato ad assumere personale nei prossimi mesi ed il restante 60% non prevede variazioni di sorta, contrariamente fra i produttori di stoviglie, il 72% si attende una riduzione dei livelli occupazionali e il 28%, una sostanziale stabilità.
Il 2003 è iniziato con il licenziamento di circa 50 dipendenti del settore delle stoviglierie.
Per porre rimedio a questa situazione potrebbe essere utile abbattere il costo dell’energia il costo del lavoro.
Tuttavia anche le istituzioni devono cercare di aiutare le imprese per farle uscire dalla crisi.
L’adesione al sistema dei marchi e dei brevetti può essere un elemento vincente della strategia competitiva delle imprese della ceramica del comprensorio di Civita Castellana, sia di quelle dell’industria, che rappresentano una realtà con una forte specializzazione, sia di quelle artigiane, che propongono al mercato pregevoli produzioni tipiche.
E’ necessario aprire un tavolo di trattative attorno al quale si devono sedere:
- Scuola
- Categorie economiche.
- Istituzioni.
I vantaggi competitivi determinati dai brevetti, con i quali si affida all’impresa il monopolio dello sfruttamento commerciale dell’invenzione e si tutela e stimola l’innovazione, e dai marchi, quali strumenti di comunicazione tra l’impresa ed il consumatore.
In questi anni, per tutelare la ceramica sono stati istituiti due marchi:
- Il Marchio per la Ceramica Artistica e Tradizionale per l’artigianato.
- Il Marchio di Qualità per i materiali prodotti dall’industria (piastrelle, sanitari, stoviglieria e ceramica ornamentale).
Civita Castellana è l’unica città del Lazio ad aver ottenuto, a pieno titolo, l’inserimento nel gruppo delle “Città della Ceramica”, insieme con altri 27 centri italiani.
Questo riconoscimento gli ha consentito di partecipare alla prestigiosa mostra delle Ceramiche.
Il principale obiettivo è comunque quello di ottenere il Marchio della Ceramica Artistica e Tradizionale, anche per avere accesso a finanziamenti per la pubblicizzazione e la commercializzazione dei prodotti che si fregiano del marchio.
CAPITOLO 3.
ALCUNE FABBRICHE DI CERAMICA, DEL PRESENTE E DEL PASSATO, DEL COMPRENSORIO DI CIVITA CASTELLANA.
Fabbriche che hanno cessato la loro attività:
- Ceramica Agneni Giuseppe. (1936-1962). Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Becchetti Bruno. (1928-1952). Stoviglierie artistiche.
- Ceramiche artistiche Brunardi. (1965-1968). Ceramiche artistiche.
- Ceramica Castar. (1967-1969). Stoviglierie.
- Ceramicunita. (1910-1920 c.a). Stoviglierie.
- Ceramica Cipriani Carmine. (1932-1940). Ceramiche artistiche.
- Ceramica Coletta Ugo & C. (1900-1960). Articoli igienico sanitari e stoviglierie.
- Cooperativa ceramisti Castel S. Elia. (1969-1971). Stoviglierie.
- Ceramica Coramusi Antonio e figlio. (1921-1950). Ceramica artistica.
- Ceramica Electa S.r.l. (1946-1955). Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Eurostovil. (1968-1970). Stoviglierie.
- Fabbriche Riunite. (1900-1920). Stoviglierie.
- Ceramica FACI. (1926-1967). Ceramica artistica.
- Ceramica Facis. S.p.A. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica la Faleri. (1945-1949). Ceramica artistica.
- Ceramica Fallisca. S.r.l. Stoviglierie.
- Ceramica Fallisca Ars. (1900-1920). Ceramica artistica.
- Ceramica F.I.A.M. –Fabbrica Italiana Anonima Maioliche- (1927-1934). Ceramica artistica.
- Ceramica Fratelli Cassieri. (1839-1900 c.a.). Stoviglierie e ceramica artistica.
- Ceramica Fratelli Crestoni di Girolamo. (1900-1931). Stoviglierie e ceramica artistica.
- Ceramica M.A.I.S.C. –Manifattura Ceramica Italiana Sciarrini Cirioni- (1954-1970). Ceramica artistica.
- Ceramica Marcantoni Casimiro & C. (1881-1960). Stoviglierie, articoli igienico sanitari, ceramica artistica, piastrelle.
- Ceramica Mei Plinio. (1979-1983). Ceramica artistica.
- Ceramica Alto Lazio. Ceramica artistica.
- Ceramica BAC. (1978-1990). Ceramica artistica e bomboniere.
- Ceramica Castellania. Stoviglierie
- Ceramica Cigno. Piastrelle.
- Manifattura Ceramica Galles. Stoviglierie.
- Ceramica Halesus Faience. S.r.l. Stoviglierie.
- Italceramica. Stoviglierie.
- Ceramica Magica. Ceramica artistica.
- Ceramica Italiana Mondial. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ocricolum.Ceramiche. Stoviglierie.
- Ceramica Old Style S.r.l. Ceramica artistica (bomboniere).
- Ceramica Patrizia. (1975-1981). Ceramica artistica (bomboniere).
- Ceramica Pellegrini. (1948 c.a. -1958). Ceramica artistica.
- Ceramica Percossi G.R. & C. (1900 c.a. -1930). Piastrelle.
- Point Porcellane. S.n.c. Stoviglierie, tazze tipo bar.
- Ceramica Profili Marcantoni & C. (1923-1956). Articoli igienico sanitari (tipo Ariston).
- Ceramica Rovinetti & C. (operante intorno al 1890 c.a.). Stoviglierie.
- Ceramica SACAS. -Società Anonima Ceramica Artistica Sanitaria- (1940-1950 c.a.). Articoli igienico sanitari e ceramica artistica.
- Ceramica SAFAC. –Società Anonima Fabbricazione Articoli Ceramici- (1924-1930). Stoviglierie.
- Ceramica Sangallo S.p.a. (1970-1981). Stoviglierie e articoli igienico sanitari.
- Ceramica San Giorgio. S.r.l. Stoviglierie.
- Ceramica S. Maria ad Rupes. S.a.s. Stoviglierie.
- Ceramica S. Elia. (1977-1981). Stoviglierie.
- Ceramica Sbordoni Alessandro. (1915-1968). Articoli igienico sanitari, ceramica artistica e piastrelle.
- Porcellana Simona. S.r.l. (1981-…..). Artistica, bomboniere e articoli da regalo.
- Ceramica SOLIDIT. (1955-1960 c.a.). Stoviglierie.
- Ceramica TAC. Tiziana, Albino Carabelli-. Stoviglieria (tazze da caffè).
- Ceramica Vaselli. (1934-1940). Ceramica artistica.
- Ceramica VEGA. S.p.a. (1976-1982). Stoviglierie.
- Ceramica Vincenti. (1900 c.a. -1995). Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Terzana. S.r.l. Stoviglierie.
- Ceramica Tre Ci. S.r.l. Stoviglierie decorate a mano.
- Ceramica Astra. Articoli igienico sanitari.
Fabbriche attualmente attive:
- Ceramica Vallelunga. S.a.s. Piastrelle.
- Ceramica VARM. S.r.l. – Vitali, Arrigoni, Ribaldi, Millozzi – Stoviglierie speciali.
- Ceramica Flaminia. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Gaden. Porcellana da forno.
- Ceramica Globo. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica I Patrizi. Stoviglierie.
- Ceramica Keralux. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica La Fornace. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Maestri Sabini. S.n.c. Semilavorati per ceramica.
- Ceramica Porcellane Valentina. S.a.s. Stoviglierie in porcellane.
- Ceramica Quadrifoglio. S.r.l. Stoviglierie in ceramica.
- Ceramica Due Torri. S.r.l. Stoviglierie in ceramica.
- Ceramica Eos. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Nuova Point. Porcellane per bar ed alberghi.
- Ceramica Stella. S.r.l. Prodotti ceramici.
- Ceramica Tulipano. S.a.s. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Sanitaria Borghetto. Soc. Cooperativa. Articoli igienico sanitari in vitreus china.
- Ceramica Antica Fornace. Ceramiche da tavola.
- Ceramica Catalano. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Verose. S.n.c. Stoviglierie e semilavorati.
- Ceramica Tevere. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Gruppo Sanitari Italia. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Tiffany. S.a.s. Stoviglierie.
- Ceramica Tofanacchio. Ceramica artistica.
- Ceramica Stovit. S.r.l. Stoviglierie.
- Ceramica Saturnia. S.r.l. (1966-attiva). Stoviglierie.
- Ceramica SIMAS. S.p.a. – Società Italiana Manufatti Articoli Sanitari – Articoli igienico sanitari.
- Ceramica San Marciano. S.a.s. Stoviglierie.
- Ceramica La Primula. Stoviglierie.
- Ceramica Delta. (1973-attiva). Articoli igienico sanitari.
- Ceramica CIPA. Stoviglierie.
- Industria Ceramica Olimpia. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Kerasan. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramiche dei Maestri Cosmati. S.p.a. (oggi si chiama “Hidra Ceramiche”). Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Monte Soratte. S.a.s. Stoviglierie.
- Ceramica Blu. Articoli igienico sanitari.
- Il Borgo. S.r.l. Stoviglierie.
- Ceramica Galassia. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Italian Style Bat. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Esedra. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Jumbo 2. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Galvit. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Vitruvit. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Altea. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Ilca. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Cepa. S.r.l. Stoviglierie.
- Ceramica Tecla. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica AXA. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Italiana. S.r.l. Stoviglierie.
- Ceramica Faleri. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
- Ceramica Art Ceram. S.r.l. Articoli igienico sanitari.
BIBLIOGRAFIA
- Sistema locale e distretto industriale. Il caso di Civita Castellana. Paolo Calza Bini, Maria Carmela Bosco, Cristina Oteri, Daniela Pieri. Ninfeo Rosa 3 / Biblioteca Comunale di Civita Castellana.
- Civita Castellana 1789 – 1815. Dalla rivoluzione francese alla restaurazione pontificia: grandezze e miserie di una comunità agli albori del suo processo industriale. Maria Giovanna Craba. Ninfeo Rosa 1 / Biblioteca Comunale.
- Civita Castellana. Studi / I. A. Augusto Ciarrocchi, Luigi Cimarra, Giorgio Felini, Luca Creti, Silvia Boscolo, Consuelo Mastelloni. Ninfeo Rosa 2 / Biblioteca Comunale.
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- Atti: XXVIII Convegno internazionale della ceramica 1995. XXIX Convegno internazionale della ceramica 1996. Estratto. Centro ligure per la storia della ceramica, Albisola. Intervento di Franco Cirioni.
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- Gaetano Ballardini maiolica in: ENCICLOPEDIA ITALIANA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI; Vol.XXI – ROMA; Istituto della Enciclopedia Italiana – 1951 – pag. 957 – 967.
- Un aspetto dell’economia di Roma e della Campagna Romana nell’altomedioevo: l’evidenza ceramica, in P. Delogu, L. Paroli (a cura di), La storia economica di Roma nell’altomedioevo alla luce dei recenti scavi archeologici, Firenze 1993, pp. 309-331. Patterson H. Tratto dal: Portale di archeologia medievale (Area di Archeologia medievale – Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti – Università di Siena. http://archeologiamedievale.unisi.it)
- Articolo di Luigi Cimarra tratto dal libro del 1° decennale del “LIONS CLUB CIVITA CASTELLANA FALERII VETERES”. Tratto da http://www.civitacastellana.it
- Marche di fabbrica in uso nelle manifatture ceramiche di Civita Castellana nei sec. XIX – XX. Amm. Provinciale Viterbo – Amm. Comunale di Civita Castellana A cura del Gruppo di ricerca sulla ceramica – Comune di Civita Castellana. Stampa: Tipolitografie C. Ceccarelli – Grotte di Castro (VT), Giugno 1983.
- Per la parte riguardante l’Istituto d’arte di Civita Castellana: http://xoomer.virgilio.it/abonavog/storia.htm
- Per la parte riguardante le Domuscultae: http://www.comune.roma.it/municipio/20/pag/presentazione/storia.html
- Capitolo 1: alcuni termini sono stati tratti da:
http://www.ivj.it/Ceramicaspiego.htm - Altri siti internet consultati: http://www.vt.camcom.it/comunicati_stampa/28maggio2001.htm... http://www.rassegna.it/archivio/2000/speciali/luglio-dicembre/italiachecambia/lazio/altrolazio.htm...
- http://www.isa.it/tuscia/civitacastellana/economia.htm...
- http://www.remondini.net/remond.htm...
- http://www.civitacastellana.com...
- http://www.civitacastellana.it...
- http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Italici/Falisci.html...
- http://www.isa.it/tuscia/economia/econset3.htm...
- http://www.ceramicheditalia.it/storia.cfm...
- http://www.deputatids.it/deputati/Attivita/Deputato.asp?ID=2876
[Trascrizione di Sergio Carloni]
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