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domenica 8 novembre 2009

Enrico Stefani, Civita Castellana: scoperte in località Sassi Caduti


ENRICO STEFANI

Civita Castellana: avanzi di antiche costruzioni scoperte
in vocabolo “Sassi Caduti”. Tempio di Mercurio.
 [Estratto da "Notizie Scavi. Serie VIII. Vol. II]

Avendo ritrovato tra le mie vecchie carte gli appunti planimetrici delle antiche costruzioni scoperte parecchi anni or sono presso Civita Castellana in vocabolo “Sassi Caduti” – che per ragioni a me ignote non vennero pubblicate da chi di dovere – ho creduto utile darne notizia presentandone la pianta corredata da qualche particolare e da poche parole di chiarimento.
Ciò mi è sembrato, oltre che utile, anche doveroso inquantoché misere e scarse erano le notizie che si avevano delle costruzioni templari scoperte a Civita Castellana, ché, tranne quel poco che oggi rimane del tempio di Giunone Curite in contrada “Celle”, degli altri o non si conservarono tracce o non se ne poterono trarre sufficienti elementi per ricavarne una pianta.
Prima però di procedere alla sommaria descrizione dei ruderi ho voluto accennare alla ubicazione della località, alla data dell’occasionale scoperta ed ai motivi che indussero lo Stato alla rinunzia dello scavo.
Nel 1894, in occasione di alcuni lavori agricoli eseguiti dal sig. Francesco Marinelli in un appezzamento di terreno di sua proprietà, situato alla sinistra del torrente Rio Maggiore in contrada “Sassi caduti”, tra l’altura di Vignale e quella delle Colonnette (fig. 1E), tornarono alla luce alcuni frammenti di terrecotte architettoniche di carattere templare1.
La competente Direzione degli Scavi, in un primo tempo, volle assicurarsi il diritto di scavo, pagando al Marinelli una certa somma di comune accordo pattuita, ma più tardi vi rinunziò a causa dei discordi pareri sorti circa l’ubicazione del presunto edificio templare al quale avrebbero dovuto riferirsi i frammenti casualmente rinvenuti.
Mentre, infatti, da alcuni si riteneva che il santuario dovesse trovarsi sull’altipiano delle Colonnette, altri non escludevano la possibilità che il tempio fosse stato eretto in fondo al burrone, nel sito stesso dove vennero raccolti i frammenti architettonici, citando ad esempio la posizione analoga del tempio di Giunone Curite.
Dopo circa sette anni di attesa, il 19 agosto del 1901, il proprietario del terreno, ottenuta dal Ministero l’autorizzazione, poté finalmente intraprendere lo scavo insieme ai soci Ciani Carlo, Ruffinelli Carlo, Zocchi Raffaele e al socio capitalista sig. Salvatori2.
Lo scavo, per evitare l’oneroso trasporto della terra da un luogo all’altro, venne eseguito, parte, mediante trincee, parte, a scasso, alla condizione che fossero lasciati allo scoperto, per lo studio e i relativi rilievi, quegli avanzi di costruzioni che per entità e conservazione fossero ritenuti di considerevole importanza.
La mia opera perciò, le poche volte che venni incaricato di recarmi sul posto, dovette limitarsi al rilievo di quegli avanzi di costruzioni che non furono interrate, rendendo così difficile, a causa delle numerose lacune e del mancato collegamento delle varie parti, uno studio accurato del monumento.
Gli avanzi delle costruzioni scoperte debbono riferirsi indubbiamente a più edifici sorti in epoche diverse, senza però escludere che alcune potessero essere in piedi contemporaneamente.
I resti più cospicui delle costruzioni che io credo più antiche, e quindi riferibili alla fase arcaica, sono stati distinti sulla pianta con le lettere A, B, C, D, E (fig. 2).
I resti A e B, egualmente orientati e pressoché allineati, dovevano appartenere al muro frontale di due edifici che per ubicazione, struttura e dimensione dei blocchi potevano molto probabilmente coesistere.
Quello più a sud (A) mostra i tagli e gli adattamenti subìti per le successive costruzioni, ed ha, come il B, una vaschetta della medesima forma e dimensione addossata alla faccia orientale del muro superstite. Resti di canali confluenti verso le vaschette, incavati irregolarmente sui blocchi starebbero a dimostrare la loro posteriorità.
Gli avanzi distinti con la lettera (B) hanno una maggiore estensione e constano di un muro lungo m. 7,30, spesso cm. 57, che accenna a continuare in direzione nord ed al quale si innesta ad angolo retto all’estremità sud un altro muro dello stesso spessore del quale potei vedere soltanto alcuni blocchi della serie inferiore.
Alla distanza di poco meno di m. 5 da questo muro, aderente al lato interno del muro frontale, sono i resti della base di una colonna costituita da due spessi lastroni di tufo l’uno sovrapposto all’altro: l’inferiore, tagliato in parte, ha un diametro di cm. 91, il superiore cm. 62,5.
I muri C, D, E potrebbero forse appartenere ad un unico edificio. Quello distinto con la lettera C, lungo m. 7,80, è a grandi blocchi squadrati bene combacianti fra loro, con fronte regolare ad est, di cui vennero messi in luce tre serie alte complessivamente circa m. 1,40.
All’estremità meridionale del suddetto muro doveva innestarsi ad angolo retto il traddo D, anche esso di buona costruzione, tagliato presso l’attacco in senso obliquo, dai resti di un canale incavato su blocchi di tufo di età posteriore. Questo tratto di muro, di cui resta l’infima serie, è stato da me veduto per una lunghezza di poco più di m. 4, fino cioè all’incontro del muro Ga, ma è assai probabile che esso proseguisse al di là di questo ultimo collegandosi con i resti di quello E. Questo è parallelo a quello C, dal quale dista m. 8, ma in difetto del suo collegamento col muro D, rispetto al quale trovasi ad un livello più basso, non si può con certezza stabilire la sua appartenenza allo stesso edificio. Esso è attraversato normalmente da un canaletto, certamente più tardo, che piega poi irregolarmente in direzione sud.
Il pozzo F, situato presso la base della rupe, ha forma rettangolare stondata sui lati brevi, ed è scavato in gran parte nella roccia. Misura m. 1,36 x 0,60 circa, ha una profondità di m. 7 ed è provvisto di pedarole. La bocca vera e propria del pozzo aveva forma circolare, del diametro di cm. 43, e si trovò al disotto di un grande lastrone che, oltre al pozzo, copriva anche un canale incavato su grandi blocchi di tufo, seguìto per una dozzina di metri, di età posteriore (fig. 3).
Ritengo che il pozzo possa far parte del gruppo di costruzioni più antiche, e perciò anteriore ai muri ad esso prossimi, per le cui fondazioni si dovettero tagliare e scalpellare alcuni blocchi sporgenti oltre i limiti della bocca del pozzo stesso, come bene risulta dalla pianta.
Alle due primitive costruzioni, di cui oggi rimangono gli avanzi A e B, sarebbero più tardi sorte quelle alle quali dovrebbero riferirsi i resti indicati con le lettere G, H, separate egualmente l’una dall’altra come le prime, che sembrano formare l’angolo rientrante di due edifici che si fronteggiavano, con colonne disposte sui due lati dello stilobate e un canaletto parallelo, ad un livello più basso, per raccogliere l’acqua della gronda.
Lungo il lato orientale della costruzione G restano i blocchi di fondazione di quattro colonne compresa quella angolare, mentre sul lato rivolto a nord si conserva il blocco di fondazione di una sola colonna.
Questi blocchi poggiano a loro volta sopra una gittata quadrangolare di calcestruzzo di circa m. 1,15 di lato e alcuni di essi conservano superiormente un incavo circolare del diametro di cm. 60 o poco più.
La distanza tra gli assi delle colonne è di circa m. 3, e perciò essa viene a corrispondere alla somma di cinque diametri.
Alla distanza di m. 5,60, parallelamente ai due lati superstiti dell’edificio G, erano i muri Ga e Gb che hanno uno spessore di circa mezzo metro e posano, come le colonne, sopra una gittata di calcestruzzo. Del primo è stato indicato sulla pianta un tratto di m. 16,70, con una interruzione di circa sei metri; del secondo potei vedere soltanto l’inizio per una lunghezza di m. 1,80.
I resti dell’edificio G e quelli dei due muri sopra citati debbono perciò ritenersi non solo contemporanei ma appartenenti allo stesso edificio.
Della costruzione opposta (H), tranne un piccolo tratto intermedio di circa m. 1,60 che separa una trincea dall’altra, sono i resti del lato che guardava levante per una lunghezza di oltre 10 metri. Qui pure, come negli avanzi della costruzione G, rimangono le fondazioni di quattro colonne, compresa quella d’angolo. Due di esse conservano il blocco quadrilatero di base; delle altre rimane la sola gittata di calcestruzzo. La distanza fra gli assi delle colonne era di m. 3, eguale cioè a quella riscontrata nella costruzione precedente.
La gittata in calcestruzzo di una quinta colonna che doveva con ogni probabilità appartenere alla fronte sud dello stesso edificio, è stata indicata con la lettera I, l’asse della quale veniva a trovarsi alla distanza di circa m. 9 da quello della colonna d’angolo, quanto cioè era necessario per la positura di due colonne intermedie.
La grande base L, venuta in luce tra i resti dei due edifici B e H, trovasi quasi interamente sepolta rispetto agli avanzi degli anzidetti edifici (fig. 4). Essa perciò, ammesso che sia a posto, non apparteneva né all’uno né all’altro edificio. La base, che ritengo possa appartenere ad un’ara, ha un diametro di cm. 92, è alta cm. 43 ed è sovrapposta ad un blocco alto cm. 35.
Con la lettera M sono stati indicati i resti di una pavimentazione fatta con lastre di tufo di varia grandezza perfettamente spianate e combacianti, limitata a levante e a ponente da due muri paralleli dello spessore di cm. 50, distanziati l’uno dall’altro circa m. 5, di cui restano tre serie di blocchi alti complessivamente m. 1,30.
Questo piano lastricato accenna a proseguire verso nord, oltre cioè i limiti della trincea, nella proprietà Micheli, mentre a sud sembrerebbe interrotto.
Nel “Giornale dello scavo” si fa cenno a due piccole cavità rotondeggianti che sarebbero state trovate presso i resti di un muretto sorto al disopra del lastricato. Queste due cavità, che non figurano sulla pianta, avrebbero avuto un diametro di cm. 23 e una profondità di cm. 65. Non contenevano nulla.
I resti indicati con la lettera N, situati tra il muro che limitava ad ovest il lastricato M al quale sono paralleli, e il canale posto a ridosso di quella specie di recinzione (O) fatta a blocchi irregolari sita in prossimità della rupe, se non allo stesso edificio, debbono probabilmente ritenersi della stessa epoca.
Collocato sopra la parte centrale del muro è un grande blocco, alto cm. 54, avente la forma di un rozzo tronco di cono, a sua volta sovrapposto ad uno spesso lastrone circolare che ha il diametro di circa cm. 80 (P).
Con la lettera Q sono stati distinti i resti del pavimento di un ambiente fatto con tesselli bianchi, limitato ad ovest da un muro intonacato, dietro al quale è una cunetta che proseguendo in direzione sud per circa m. 12, rasentando il muro di un altro ambiente, doveva servire a scaricare l’acqua all’imbocco di una fogna (R). Questa dopo un percorso sotterraneo di poco più di 12 metri, passando al disotto del muro Ga e degli avanzi dell’edificio G, proseguiva allo scoperto per altri 10 metri tagliando la costruzione A e terminando con due vasche, l’una dopo l’altra (S, T), l’ultima delle quali con una cavità in forma di cono rovescio posta ad un livello un poco più basso della prima.
Avanzi di un muro fatto con parallelepipedi disposti nel senso della loro lunghezza, con andamento parallelo al prospetto con colonne dell’edificio H, vennero riconosciuti nella proprietà Micheli a breve distanza dal confine che la separa da quella del Marinelli.
Questo muro, di cui potei rilevare soltanto il brevissimo tratto U, doveva unirsi ad angolo retto a quello ad esso simile che limitava ad ovest il piano lastricato M, ed è molto probabile che, a sua volta, costituisse il limite nord del lastricato stesso.
Il muro O, V, a blocchi irregolari, posto a breve distanza dalla rupe, che sembra dovesse segnare una specie di recinzione della zona monumentale, si è potuto constatare che continuava anche nella proprietà Micheli per una lunghezza considerevole preceduto da una specie di nicchione (Z), che il Magliulo chiama specie di forno, recinto anche esso con gli stessi blocchi.
Questo nicchione si trovò pieno di rottami di fittili, cenere ed ossa di ariete, insieme a frammenti di lastre architettoniche ed a resti di doni votivi.
Nel “Giornale dello scavo” compilato dal custode Magliulo, che non ho mancato di consultare, si fa cenno di alcuni muri e di certi particolari che non figurano sulla pianta perchè rinterrati prima che io li vedessi.
Quello che risulta invece chiaro dalla lettura di esso è che il numeroso materiale archeologico rinvenuto si trovò mescolato e disperso in tutta l’area scavata, e ciò in conseguenza dei vari edifizi che vennero eretti nello stesso luogo nel corso di più secoli e cioè dal periodo arcaico a quello romano. In tal guisa viene a mancare la guida che il materiale architettonico avrebbe potuto dare se, crollato l’edificio a cui apparteneva, fosse rimasto sul posto dove esso cadde.
In ogni modo ho creduto utile dare notizie del luogo di trovamento di alcuni tra gli oggetti più importanti e fare cenno di qualche particolare notato dal custode durante i lavori di scavo.
Sopra alla pavimentazione a lastre di tufo (M) si rinvenne uno spesso strato di cenere e carboni frammisti ad ossa di animali, denti di cinghiali, e ad una notevole quantità di frammenti di ciotole d’arte locale, sopra alcune delle quali era un’iscrizione graffita o dipinta in ocre rossa3.
Qualche altro frammento di ciotola con la stessa iscrizione venne raccolta in prossimità del pozzo (F) insieme a frammenti di oggetti votivi.
Dall’esplorazione del pozzo si ebbero, oltre ad una notevole quantità di rottami di fittili, alcuni frammenti di lastre architettoniche e 20 embrici di età romana. L’acroterio centrale con gli avanzi di un gruppo a rilievo di due guerrieri combattenti si trovò durante lo sbancamento di una piccola zona di terreno nella proprietà Micheli, a breve distanza dalla rupe e dal pavimento a lastre di tufo (M).
Il luogo di trovamento della parte inferiore della statua di Mercurio non mi è stato possibile precisare dalla lettura del “Giornale”. Sembra però che essa sia stata trovata nella parte meridionale della proprietà Marinelli insieme a frammenti di antefisse, di lastre architettoniche, a qualche oggetto votivo ed a molti avanzi di laterizi.
Frammenti di lastre architettoniche si rinvennero nell’esplorazione del cunicolo e in qualche saggio eseguito tra il muro di recinzione e la base della rupe.
Il “Giornale di scavo” fa cenno anche di una vasca di m. 1,85 x 1,12, profonda cm. 43, alla quale sembra dovesse confluire una conduttura in laterizio, e di un frammento di colonna di tufo, in due pezzi, lungo m. 1,70 avente un diametro di cm. 55.
Le vicende che precedettero lo scavo e l’acquisto del materiale vennero già rese note dal Mengarelli4 e dal prof. Rizzo5, ma forse non è superfluo ripetere che devesi principalmente alle premure e al vivo interessamento di entrambi se, riusciti a impedirne l’esodo, esso potè essere acquistato per le collezioni dello Stato.
Oltre ad alcuni importanti resti di sculture e ad un gruppo di oggetti della stipe votiva, la quasi totalità del materiale consiste in terrecotte architettoniche che si riferiscono alla fase arcaica e a quella ellenistica6.
Alla fase arcaica, e quindi ai primitivi edifici sorti nella contrada “Sassi Caduti”, avrebbero appartenuto i materiali qui sotto sommariamente elencati7:
a)      Acroterio centrale con gruppo di due guerrieri combattenti.
b)      Residui di un altro acroterio a forma di uccello.
c)      Due tipi di antefisse: l’uno a grande testa di Sileno, l’altro a gruppi di Sileni e Menadi.
d)     Frammento di una tegola di gronda con avanzi di pittura.
e)      Frammenti di una cortina pendula.
f)       Gruppo di 11 tegole terminali appartenenti ai due spioventi del frontone aventi la stessa forma, dimensione e decorazione.
g)      Resti di una cornice traforata.
h)      Quattro tipi di lastre di rivestimento della trabeazione8.
i)        Due tipi di lastre di rivestimento della cornice di una porta.
Il materiale decorativo più recente, di cui dò pure l’elenco, avrebbe dovuto appartenere ai due edifici distinti con le lettere G e H:
a)      Acroterio centrale con la parte inferiore di una figura di Mercurio.
b)      Frammento di lastra dove restano le gambe di due figure, l’una maschile, l’altra femminile.
c)      Due tipi di antefisse: l’una con testa di Sileno, l’altra con testa di Menade.
d)     Parte inferiore di antefissa con due figure di sesso diverso.
e)      Antefissa a forma di Nereide abbracciata ad un pistrice.
f)       Quattro antefisse a testa di Gorgone.
g)      Lastra con due teste, l’una di Gorgone, l’altra di mostro comprese in una doppia voluta che, in sostituzione della cornice traforata, doveva essere posta a coronamento del fastigio9.
h)      Vari tipi di lastre di rivestimento della trabeazione, alcuni dei quali di tipo Campana.
i)        Lastra di rivestimento della cornice di una porta.
Avanzi di ambienti di età romana con pareti intonacate, pavimentazione a tesselli (fig. 2), canali incavati su blocchi di tufo e cunette in muratura debbono riconoscersi nella parte più prossima alla rupe. A queste tarde costruzioni debbono riferirsi due rozze antefisse a palmetta ed una grande tegola terminale di frontone anche essa di rozza fattura.
Gli avanzi delle antiche costruzioni venute in luce nella contrada “Sassi caduti” occupano, come abbiamo visto, una considerevole estensione di terreno (circa 1000 metri quadrati) e sembra che esse si estendessero, almeno in parte, nella proprietà limitrofa a quella del Marinelli, presso il cui confine si trovarono i resti del magnifico acroterio col gruppo dei due guerrieri combattenti e la maggior parte degli oggetti appartenenti alla stipe votiva insieme ai resti degli animali sacrificati.
Credo perciò che sarebbe utile potere eseguire qualche ricerca nella proprietà Micheli e, possibilmente, trovare il modo di potere un giorno completare la monca pianta da me rilevata, e così avere l’esatta visione di tutto il complesso monumentale.


Note

1.       Circa l’accesso ad un luogo così angusto ed impervio, l’ing. MENGARELLI nel Bull. Arch. Com., XXXIX, 1911, p. 62 sgg. fa cenno della scoperta di un’antica porta situata di fronte ai “Sassi caduti” e di una ripida strada che uscendo da quella avrebbe menato al sacrario. Questa via sembra che proseguisse in direzione nord tra l’altura delle Colonnette e il fosso di Rio Maggiore congiungendosi con altre antiche vie dirette verso l’importante santuario di Giunone Curite.
2.       La sorveglianza dello scavo venne affidata al custode Giuseppe Magliulo che risiedeva a Civita Castellana.
3.       L’iscrizione falisca cui allude il Magliulo, tranne qualche lieve variante, è TITOI MERCVI EFILES sull’interpretazione della quale i dotti non sono affatto concordi, poichè mentre da alcuni si ritiene che il nome di MERCVI sia quello della divinità, della quale è stata trovata la parte inferiore della statua, altri sostengono che il nome di MERCVI sia quello della dedicante. E’ però curioso, secondo me, pensare che l’offerente sia stata sempre la stessa persona e che nessun altro abbia avuto mai il bisogno di ricorrere alla protezione del nume.
4.       R. MENGARELLI, presso E. THULIN in Rom. Mitt., 1907, p. 296 sgg. e Bull. Arch. Com., 1911, pp. 62-67.
5.       G. E. RIZZO, Bull. Arch. Com., 1911 p. 27, 34.
6.       Vedi ARVID ANDREN, Architectural Terracottas from Etrusco-Italie Temples. Tavv. 36-45.
7.       Per la descrizione particolareggiata dei materiali rinvenuti vedi A. DELLA SETA, Guida del Museo di Villa Giulia, p. 166 sgg.
8.       Del tipo di lastra descritto dal Della Seta a p. 171 della Guida del Museo di Villa Giulia (n. inv. 12420), di cui si rinvennero soltanto pochi resti, ho voluto colla fig. 5 darne la ricostruzione completa differenziandosi esso notevolmente dalle lastre di rivestimento fin quì conosciute.
9.       Questa lastra è stata erroneamente descritta nella Guida del Museo di Villa Giulia (p. 176, n. inv. 12439) come lastra di rivestimento della trabeazione.



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