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domenica 8 novembre 2009

I SANTI VENERATI A CIVITA CASTELLANA NELLA STORIA.




I SANTI VENERATI  NELLA STORIA
A CIVITA CASTELLANA

Da: TUSCIA VITERBESE, vol. I: LA PROVINCIA
Roma, Editoriale Dei, 1968

SAN MARCIANO E SAN GIOVANNI

Dei santi Marciano e Giovanni, patroni di Civita Castellana, non esiste nessuna statua, non si venera nessuna immagine.
Il culto, vivissimo, è tutto per le reliquie dei due martiri, conservate nella chiesa cattedrale. Il 16 settembre l’urna d’argento che le contiene viene esposta su un trono e portata in processione attraverso le antiche vie della città, fino a quando la pesante “macchina” sosta e i fedeli ripetono il tradizionale rito del “bacio”.
Le reliquie dei santi Marciano e Giovanni hanno una loro storia che risale a poco prima dell’anno 1000.
Nei pressi del monte Soratte, nella chiesa dedicata ai santi Abbondio e Abbondanzio, giacevano i resti di molti martiri che l’imperatore Ottone III volle far trasportare tutti nella chiesa da lui edificata sull’isola Tiberina[1].
Avvenuta la traslazione, il vescovo Cresceziano di Civita Castellana, quasi per divina ispirazione, fece fare però ulteriori ricerche che portarono alla scoperta dei corpi di Marciano e del figlio di questi, Giovanni, proprio il 16 settembre, dopo sette secoli dalla loro morte. Subito li fece trasportare a Civita Castellana e collocare nella chiesa della B. V. Maria[2].
Poi il tempo coprì con un velo d’oblio la memoria di questo avvenimento; solo la tradizione indicava che sotto l’antichissimo altare maggiore della cattedrale dovevano trovarsi i resti dei santi protettori.
Nel 1749, dopo i lavori di rinnovamento della chiesa, e volendosi sostituire il suddetto altare con un altro più moderno, il vescovo Lanucci iniziò le ricerche: trovò dapprima un piccolo vaso di vetro contenente alcuni frammenti d’ossa e finalmente la cassetta – mirabilmente conservata, con la serratura lucida, con la tela inconsunta – deposta da Crescenziano più di sette secoli prima. Grande fu la commozione dei civitonici, che svegliati dal suono delle campane annunzianti il ritrovamento (erano le tre dopo la mezzanotte), si riversarono nella chiesa a venerare le sacre reliquie. Nel coperchio della cassetta, dalla parte interna, vi era una iscrizione che narrava come, nell’anno del Signore 1230, il vescovo Pietro avesse già rinvenuto le reliquie dei santi Marciano e Giovanni, e dopo averne riservate alcune per esporle alla venerazione del popolo, le avesse nuovamente riposte sotto l’altare maggiore.
Ma la storia delle reliquie dei due santi non sarebbe completa se non aggiungessimo che i resti conservati dal vescovo Pietro furono sacrilegamente rubati., il 31 agosto del 1700, insieme con la piccola urna d’argento che li conteneva. Passò circa un anno prima che le reliquie potessero essere ritrovate: una mattina fra’ Giacomo Fiorini le rinvenne involte in un panno di seta, legato alla meglio con un filo di ferro, nei pressi della chiesetta delle Piagge dove era eremita. E il vescovo Aleotti, che in quei giorni si era recato a Bassanello per impetrare a S. Lando la grazia che le reliquie fossero ritrovate, ebbe la grande gioia di riceverle dalle mani dell’eremita stesso. I ladri, due sciagurati che avevano commesso il sacrilegio per impossessarsi dell’argento dell’urna, furono poi scoperti ed arrestati, e dopo un lungo processo condannati, il primo e maggior responsabile alla pena dei triremi per dieci anni, l’altro a cinque anni di detenzione.
Gli “atti” del martirio dei patroni di Civita Castellana sono riportati da alcuni antichi manoscritti: il “codice arinianense” posseduto dai signori di Rignano Flaminio; un codice appartenente a un cenobio di monache presso Siena, dove in onore di questi santi era stata fatta edificare una chiesa da Pipino, figlio di Carlo Magno[3]; e un codice del XII secolo conservato nell’archivio di S. Maria Maggiore.
Tali atti sono collegati con il martirio dei santi Abbondio e Abbondanzio, i quali al tempo degli imperatori Diocleziano e Massiminiano, esercitavano l’apostolato a Roma.
Scoppiata la decima persecuzione, intorno all’anno 303, Abbondio e Abbondanzio furono arrestati insieme con altri ventitrè cristiani e condannati alla decapitazione. La sentenza fu eseguita per i discepoli il 5 agosto, sulla via Salaria Vecchia, e il 16 settembre per i due sacerdoti, sulla via Flaminia, a dodici miglia da Roma.
Mentre i due martiri venivano condotti verso il luogo del supplizio, corse loro incontro un nobile, Marciano, portando il figlio Giovanni tra le braccia, morto. Con fede profonda si gettò ai piedi dei due santi; ed essi, in nome di Cristo, ridonarono la vita al fanciullo. Ma per poco. Il nobile romano volle essere battezzato insieme col figlioletto, proclamando davanti a tutti l’amore per il vero Dio; e i carnefici fecero cadere con le teste di Abbondio e di Abbondanzio anche quelle di Marciano e del piccolo Giovanni, resuscitato alla vita terrena perché potesse ottenere, con il battesimo e con il martirio, la vita eterna.
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[1] Dal “codice arinianense” del XII secolo.
[2] Oggi Chiesa di San Bartolomeo.
[3] Antonio Cardinali, I santi Marciano e Giovanni. Subiaco, 1930.


SAN GRATILIANO E SANTA FELICISSIMA

La città di Faleria[1], colpevole di aver aiutata Veio durante il lungo assedio romano, venne conquistata da Camillo e ridotta a colonia. La maggior parte degli abitanti allora – secondo una tradizione – si trasferì più a nord, edificando una nuova città alla quale fu dato il nome di Falerii Novi. Questa non ebbe però lunga vita poiché i suoi abitanti verso il secolo IX l’abbandonarono completamente, non ritenendola adatta ad una efficiente difesa contro le incursioni dei Saraceni.
Oggi di Falerii Novi rimangono i resti di una muraglia di tufi posta attorno a una superficie di circa 27 ettari – tra Civita Castellana e Fabrica di Roma – dove affiorano ogni tanto portati alla luce dall’aratro avanzi di qualche edificio, frammenti di colonne, cocci di suppellettili. La città è scomparsa, sepolta dai secoli nel grembo della terra che raccoglie e ricopre tutto ciò che muore; ma oltre agli avanzi murali si eleva ancora, tra i rovi, una chiesa semidiroccata, con il cielo per tetto, parzialmente restaurata: è la chiesa di S. Maria di Faleri, da cui ora prende il nome la zona.
I cittadini di Falerii Novi trasferendosi in massa nella vicina Civita Castellana portarono tutto ciò che avevano di più prezioso, tra cui le reliquie dei loro martiri Gratiliano e Felicissima.
La narrazione del martirio di questi due santi è riportata in una “passio” composta nel VII sec. e nota ad Usuardo il quale inserì i loro nomi nel suo Martirologio.
Gratiliano era figlio unico, amato e curato dai genitori, che godevano in Falerii Novi di un certo prestigio essendo in amicizia con Trasone, l’amministratore della giustizia romana.
Nonostante i severi editti emanati contro i cristiani – era il tempo di Claudio il Gotico (268-270) – il giovane Gratiliano, letto il Vangelo, forse per curiosità, e colpito dalla frase "Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" si recò dall’Apostolo della Tuscia, S. Eutizio di Ferento, che lo accolse amorosamente, lo istruì nella fede, lo battezzò e lo ammise alla mensa del Signore.
Il giovane tornò poi dai suoi genitori dichiarando di essere cristiano, e rispose ai loro rimproveri, alle loro suppliche, ai loro pianti, con ferme parole: “Per il Cristo figlio di Dio, non temo i vostri terrori; Egli infatti mi libererà da tutti i miei nemici; Egli, che mi ha insegnato la via della verità”.
Trasone, conosciuta la conversione di Gratiliano, lo fece arrestare, ma in considerazione dell’amicizia con il padre di lui, tentò di dissuaderlo, di farlo ritornare alla fede pagana; risultati vani tutti i suoi sforzi fu costretto ad informare l’Imperatore, dal quale ricevette l’ordine, comune in quei tempi per tutti i casi consimili: “O sacrifica agli dei, o venga giustiziato”.
Naturalmente Gratiliano rifiutò ancora l’apostasia… Mentre attendeva in prigione il giorno della condanna, andò a trovarlo una vedova, di nome Fortunata, accompagnata dalla figlia Felicissima, una fanciulla molto bella che non aveva mai veduto la luce del sole. Il giovane le pose le mani sopra gli occhi spenti e le disse: “Se crederai di vero cuore, Cristo nostro Signore darà la luce non solo alle tue pupille, ma anche alla tua anima”.
Poi, elevando al cielo un’ardente preghiera, tracciò un segno di Croce sulle palpebre della fanciulla; e Cristo la illuminò, negli occhi e nell’anima. Felicissima volle essere subito battezzata e i due giovani, tenendosi per mano, insieme ringraziarono Dio.
Successivamente anche Felicissima venne arrestata, mentre si trovava in casa dell’apostolo Eutizio, e condannata a morte. I due giovani furono condotti insieme sul luogo del supplizio fuori le porte di Falerii, presso il ruscello, e le loro teste caddero troncate dalla spada del carnefice.
I loro corpi furono raccolti dai disperati genitori ed insieme seppelliti, il giorno 12 agosto, in un campo detto Maulanus.
Le reliquie dei santi Gratiliano e Felicissima furono trasportate alla cattedrale di Civita Castellana – in occasione dell’esodo da Falerii Novi di cui s’è già detto – e collocate in un primo tempo sotto l’altare maggiore; poi, per timore dei barbari, furono nascoste in una cripta della stessa cattedrale.
A tramandare la memoria dei due martiri, nella cripta a loro dedicata fu recentemente installato un bellissimo bassorilievo di marmo bianco che li rappresenta.
Nella chiesa parrocchiale di Bassano Romano è tradizione che si conservi la testa di San Gratiliano, patrono del luogo, la quale sarebbe stata donata dal vescovo di Civita Castellana nel 1437; mentre  la maggior parte delle reliquie di S. Felicissima, traslate dapprima a Ferento, furono, dopo la distruzione di questa città, trasportate a Viterbo, nella chiesa di San Sisto. 



[1] Secondo alcune ipotesi, l’antica Faleria (da non confondersi con l’attuale omonimo paese, che anticamente aveva il nome di Stabia) sarebbe da identificarsi appunto con  Civita Castellana.

[Trascrizione di Sergio Carloni]

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